venerdì 3 dicembre 2010


Questo non penso varrà molto domenica 12 Dicembre, quando ci troveremo al ristorante da Bruno ad Isolabona con le gambe sotto il tavolo per la consueta cena di fine stagione.

Ciao a tutti.

giovedì 25 novembre 2010

Da Monaco con furore.......


Grande prestazione del monegasco Philippe Creach nel 6° G.P. Città di Vallecrosia, dove hanno preso parte 32 concorrenti di grande valore sportivo. La competizione improntata con le due specialità, Ciclismo e Podismo è stata organizzata dalla locale Ciclistica Bordighera, che con la collaborazione del Comune di Vallecrosia, erano presenti alla manifestazione il Vice sindaco Biasi Armando, l’assessore Teodoro, con Moreschi e il Dottor Capaccio dirigente alla Cultura.

La gara ha preso il via con 32 atleti, che dopo la notte di pioggia sono risultati sufficienti per la competizione a due specialità. Al via, subito in testa un terzetto che farà corsa a sé. Il monegasco Creach, con l’ultimo vincitore Besnard ed il locale Caffara, mettono alla frusta gli altri concorrenti sin dal tratto podistico, due giri del lungomare vallecrosino, per poi restare il solo in testa nel tratto ciclistico, che portava sino a San Biagio, Soldano(ai cinghiali), e tornare a coprire ancora un giro del lungomare ancora a piedi. Qualcosa come 6 KM a piedi e 20 Km in sella alla bicicletta da corsa, coperti in 52’ che con il tempo incerto sono un grande risultato. Al traguardo Creach giungeva con 30” sul Besnard e 36” sul bravo Caffara in grande rimonta, a seguire Mingherlino, Faggiani, Borfiga, Codo, Masseglia, Biamonti, Chiesa , Fiore che precedevano un gruppetto di alcuni concorrenti tra cui il francesino Bardos Ferrua il ventimigliese Calipa, Bernardi, Lasalandra,, Del Giudice, Revelli, Panizzi. La partecipazione di alcune “Donne” e un “Giovanissimo” completavano l’elenco degli arrivi, dove Turchi, il “più anziano” e collaboratore dell’ organizzazione, con il più “giovane” Ingenito erano tra i protagonisti.

Da notare la bella affermazione della Massaro(Savona), che ottima scalatrice(vincitore di una Trento/Bondone) prevaleva sulle due rivali Kaltenbach e Pagani. Con la premiazione, dove 'tutti' sono stati accontentati un ringraziamento va dato all’amministrazione comunale, alla Polizia Locale, alla Protezione Civile, alle Scorte Tecniche, ed a tutti i concorrenti che hanno osato partecipare, senza scomporsi dopo una notte di pioggia.

giovedì 18 novembre 2010

MANCA POCHISSIMO.........


Si informano tutti gli atleti che al termine della gara ci sarà la possibilità di fare la doccia presso la piscina di Bordighera.

martedì 16 novembre 2010


Congratulazioni a Eric per aver completato
la Nice-Cannes Marathon 2010
con il tempo finale di: 3:24:14

giovedì 11 novembre 2010

Pizza con i Cinghiali.

Chi volesse partecipare alla pizzata post Duathlon di Vallecrosia Domenica 21 è ufficialmente invitato fate solo sapere al più presto in quanti siete. La magnata si terra nel Ristorante Carpe Diem sul solettone di vallecrosia praticamente in zona cambio, la specialità è la pizza al metro......



Grazie

venerdì 15 ottobre 2010

Il 25 settembre 2011, ad Aix si terrà la prima edizione del Ironman 70,3 qualificativo per il Campionato del Mondo.

Yves Cordier, responsabile per lo sviluppo di gare Ironman di Francia, ha scelto la città di Aix en Provence per ospitare l'unico Ironman 70.3 (1,9 km nuoto, 90 km bici e una mezza maratona 21,1 km) in Francia.

La data della gara è stato scelto in base al calendario: non vi sono gare concorrenti, ideale per terminare la stagione e prepararsi per i Campionati del Mondo Ironman e Ironman 70.3 con un clima mite anche in questo periodo dell'anno nel sud Francia, tutto è perfetto per la sfida del nuovo 70,3!

A questa prima edizione saranno presenti, : Marcel Zamora (ESP-Triatlhl Aix), vincitore per cinque volte dell' Ironman di Nizza (2006-2010), due volte vincitore di Embrun (2009/2010); Olivier Marceau ( SUI), Olympic Distanza Campione del Mondo nel 2000, 3 volte selezionato per i Giochi Olimpici, 3 ° Ironman di Nizza 2010, Delphine Pelletier (FRA), 3 ° ITU LD World Championship 2009, sei volte campionessa di Francia.

giovedì 14 ottobre 2010

Trail di Gorbio

10.10.10 Trail de Gorbio

Una domenica come tante in un piccolo paesino dell’entroterra di Mentone: Gorbio, della contea di Nizza.
Da un paio d’anni qui vengo spesso: giri in bici, super sprint (l’unico triathlon a cui mi sento di poter partecipare), arrampicata sulle sue stupende e difficilissime falesie e oggi un bel trail di 42 km.
Arrivo presto che è ancora buio e fa freschino. Mi iscrivo, ritiro il pettorale e con calma mi preparo.
Stranamente non avverto nessuna tensione pre-gara, sarà che ho in testa di fare un bel lungo, come allenamento. Dopo aver dato un’occhiata al percorso mi rendo conto che non sarà uno scherzo. Sono relativamente abituato a percorrere lunghi tratti in montagna e mi sento bene al solo pensiero di ciò che mi aspetterà: nulla di estremo, di impossibile, ma qualcosa di assolutamente umano, semplicissimo, ciò per cui siamo stati in qualche modo plasmati da millenni qui in Liguria, arrampicare su ripidi sentieri per poi saltellare giù in discesa. E oggi ripeterò gesti fatti infinite volte dai miei antenati, loro per necessità di sopravvivenza, io per necessità di riconciliazione psichica con la mia essenza, le mie origini. Ogni qualvolta corro nelle montagne che incoronano il mare ho, per qualche ora, la fortissima sensazione di rispondere ad uno scopo vitale, mi sento realizzato, in pace con il mondo. Purtroppo si tratta solo di alcune ore.
Ma il trail è pur sempre una gara.
Alla partenza mi rendo conto che il livello è molto alto. In pochi minuti rimango subito tra gli ultimi, che tra l’altro hanno tutti l’età di mio nonno e mentre corrono in salita chiacchierano di caccia al tordo, diletto a cui oggi hanno dovuto rinunciare per la corsa. Io semplicemente cerco di trovare un ritmo, respirare e non boccheggiare e non perdermi anche questi cinque compagni. Il buon Borfiga dice sempre che in una gara è impossibile arrivare ultimi, io più volte sono riuscito a confutare la sua teoria.
I primi 6 km sono in salita, vado piano come al solito, ma appena scollino trovo un buon passo di corsa e recupero qualche eroe mezzo stramazzato per lo sforzo, non senza un po’ di sarcasmo li incito a ripartire, sorpassandoli con un sorriso beffardo. Dal decimo km comincia uno stato di grazia che durerà fino alla fine, sto bene e per diverse ore non incontro nessuno, corro e i miei sensi vivono appieno questo magnifico autunno: i funghi lungo il sentiero, l’odore delle foglie cadute già mischiate al terriccio bagnato, i colori del cielo e del mare lontano. Tutto è praticamente perfetto, vorrei potesse durare per sempre (lo dico sempre quando ripenso ai trail fatti). Le stagioni di mezzo, quelle che si dice non esistano più, sono da sempre state le mie preferite, e allora forse anch’io svanisco al mondo per qualche ora, trovando tutto ciò che mi serve per esprimermi ed esserci anche se su di una linea di soglia. So per certo che se anche dovessero sparire tutte le balise, io correrei per ore e alla fine atterrerei in un luogo interessante. Ho due litri d’acqua, barrette e gel a sufficienza per un bel po’. Corro e lascio libero spazio a ciò che clinicamente definirei un delirio. Eppure il mio cervello riesce a coordinare il corpo in senso motorio mentre l’anima si incontra con il mondo, con questa natura così a portata di mano eppure così estranea per noi uomini dell’era della tecnica.
Dal mio volo pindarico atterro a St. Agnes in forma, felice. Mancano solo sette km all’arrivo, ma tre di ascesa al Baudon, il mitico 1200 - l’ultima fatica che bisogna affrontare nel Neandetrail - e poi quattro di discesa tecnica fino a Gorbio. Salgo bene e sono su in un’ora. In cima mi godo il paesaggio, sul mare c’è levante ed è tutto bianco di schiuma, a nord invece vedo chiaramente il monte Bego, anch’esso spolverato di neve e le Alpi. Poi guardo la discesa e mi scatta una molla nel cervello, lo spirito agonistico da cui non puoi affrancarti quando sai che è possibile conquistare qualcosa, anche solo una posizione. Sarà un retaggio di quando andavo a cavallo e le gare le vincevo veramente, sarà che oggi è una giornata speciale, sta di fatto che mi butto giù per la pietraia come un matto e a metà pendio raggiungo e supero, uno dopo l’altro, cinque corridori. Due non ci stanno e sento che accelerano dietro di me, non mi posso girare altrimenti rischio di volare giù. Arrivo in fondo al Baudon e salto l’ultimo ristoro. Riprendo fiato rallentando un pochino e sento qualcuno dietro di me e allora riparto. Il sentiero si allarga, vedo Gorbio più sotto, il tipo mi affianca e continuiamo a spingere, sono al limite e quando penso che non tarderà a superarmi grida: “cazzo rallento, devo respirare!”. Manca meno di un km e ora sono nuovamente solo, ho difeso il mio posticino e non mi sono fatto superare, ma tutto ad un tratto sento nuovamente qualcuno arrivare da dietro e penso: “Stai a vedere che si è ripreso e ci riprova”. Mi giro e invece è un altro tizio, dell’AS Monaco. E qui comincia la vera battaglia sull’ultimo km di sentieri, scalinate e pietraie, è un continuo affiancarsi e staccarsi, in un progressivo aumentare di ritmo. Con un balzi salto i quattro scalini che immettono sulla strada asfaltata negli ultimi 100 metri dall’arrivo, sono davanti, ma il pazzo accelera, accelera, accelera e io non mollo, così ci ritroviamo affiancati in uno scatto finale veramente da fuori di testa. Dò un ultimo strappo e mi infilo nella piazza per primo, dove sta avvenendo la premiazione del trail di 18 km, Besnard è sul podio: quinto assoluto, meno male che mi aveva detto di essere sovraffaticato . Lo speaker si ferma e la gente si gira per capire chi sono sti due pazzi che si scornano per conquistare il 63esimo posto su 78 rischiando l’infarto. Ma ce l’ho fatta, ho vinto la mia gara in 6h37...:-)

martedì 12 ottobre 2010

Perché fare un Ironman?


Non lo so. Credo che se te lo devo spiegare, tu non lo possa capire. Un po’ come l’alpinismo, il paracadutismo o gli ultratrail. Certe cose o le senti dentro o non ci sono parole che ti possano chiarire il perché di certe scelte.

So solo che una sera, questo inverno, sono entrato in cucina, i ragazzi erano a tavola e Marta cucinava.
“Papà per i suoi 50 anni vuole un regalo!”
Mi guardano divertiti. Proseguo- “Voglio provare a fare un Ironman!”
I ragazzi dicono “Figo!” Gli occhi di Marta diventano ancora più grandi e verdi del solito, è l’unica che capisce subito.
“OK se ti fa piacere provaci”
“Grazie”

Questo vuol dire che alla sera arriverò a cena quando arriverò, le Domeniche e le prossime vacanze andranno usate per gli allenamenti e lei (Marta, ndr) dovrà sobbarcarsi molti giri di consegna\ritiro figli in più.

Il giorno dopo entro nella macelleria di Stefano e gli annuncio: ” devi allenarmi per l’Ironman di Barcellona”

Gli avessi chiesto un’orata fresca e un aragosta non avrebbe fatto la stessa faccia stupita.
Mi dice subito che è impossibile, che morirò o durante gli allenamenti o durante la gara, protesta per un bel po’… poi comincia a pianificare gli allenamenti.
E tutto ha inizio…

Premetto una cosa, molti mi hanno raccontato di avere trovato la forza di finire l’Ironman pensando a quanti gli avevano detto che non ce l’avrebbero fatta, io, nei momenti di crisi, ho trovato aiuto nel pensiero di quanti hanno creduto in me e già solo questo è stato splendido e mi ritengo fortunato.

Ho avuto vicino amici come Enrico, Michele, Ciccio che mi hanno aiutato negli allenamenti più lunghi, scortandomi su e giù per l’Aurelia, fino a conoscere a memoria la strada da casa alla galleria di Albenga… miiii che palle che si devono esser fatti anche loro!!!

Ma veniamo alla gara, raramente prima di una scadenza importante ho avuto lo stomaco in mano come prima di questa gara!!! Sono arrivato a sognare di trovarmi con la muta, bagnato, nel centro di una sala da pranzo di un albergo in Spagna con tutti che mi guardavano… avevo sbagliato strada nel nuoto!!!

Finalmente sono a Calella, ritiro il pacco gara e mi presento al briefing in inglese, non sono abituato a sentirmi un nanerottolo, ma sono al tavolo con la squadra norvegese… e mi sento Mammolo! Bici da crono incredibili, ruote lenticolari caschi a goccia… mi sento fuori posto… aspetto che salti fuori il Ragionier Filini dell’Ufficio Sinistri che mi prenda con lui…

6 del mattino, ultimo controllo alla bici, sono il numero 200, il 201 è un commercialista di Bologna, l’ho appena incontrato, dopo poco lui e il suo socio Beppe mi sembrano vecchi parenti… questo è l’Ironman.
Ci avviciniamo alle gabbie di partenza, è ancora buio, mi sono perso a Pietra (Miglio Marino di Pietra Ligure, ndr) in piena luce… qui finisco in Marocco dai parenti di Aziz (un nostro ex tesserato, ndr)…
Mi giro, i norvegesi si tengono abbracciati in silenzio, ascoltano il rumore del mare… questo è l’Ironman.

Pronti…VIA!

La prima bracciata è speciale, non ho mai nuotato questa distanza, l’acqua mi sembra meno salata, il fondo si vede bene, PANICO\PAURA che è sta roba??? Una medusa grossa come un pallone da calcio!!! Te posseno… ma dai il nuoto scorre, sorpasso qualcuno coi crampi, faccio per fermarmi (sono pur sempre un medico) ma ci sono già le canoe dei soccorsi.
La riva, mi alzo in piedi e cado all’indietro perché scivolo, Marta crede che sia svenuto!!! La tranquillizzo, mi fa una foto con la macchina spenta!!! è un po’ tesa…

Mi cambio al volo e parto in bici, passa un treno e un imbecille mi tira una lattina di birra… vuota!!! Proprio imbecille!!! Ma non doveva essere un piattone??? I primi 15 Km sono sali e scendi continui, per dare un’idea ho toccato in discesa i 52 km\h senza pedalare, poi inizia un falso piano a salire di circa 40 km ovviamente in controvento… si recupera al ritorno…Grande tifo lungo la strada, giudici sempre presenti a controllare il no draft, tutto bene fino a 150 km poi iniziano i crampi alle cosce, mi tiro dei pugni che mi decontraggono, osservo le facce stupite di un gruppo di tifosi polacchi… pensano che mi stia prendeno a colpi nelle palle… mi gridano qualche cosa… non capisco il polacco… gli ultimi 10 km mi appare Winnie the Pooh… lo aspettavo da un po’, mi vuole rivelare il quarto segreto di Fatima… gli dico che è un pettegolo e andiamo avanti così fino alla zona cambio…

Mi vesto per la maratona e parto, 400 metri e mi rendo conto che ho dimenticato il pettorale!!! Torno in dietro, frugo e non lo trovo, rabbia, poi eccolo, riparto, ho perso 10 minuti e fatto 800 metri in più e compare improvvisamente il Cane Puffoente (per chi non lo conoscesse ecco il link)!!! Mi morde polpacci e cosce e non mi mollerà per tutte le 5 ore di maratona! L’Ironman inizia qui.
Inizio a correre ma partono i crampi e devo alternare, corro fino ai primi sintomi e poi cammino, devo fare 42 km, si attraversa la periferia, si entra in campagna e si raggiunge un altro paese, si torna indietro, il tutto per 4 volte.

Non so perché lo sto facendo o forse si… ma ci deve sempre essere un perché? Improvvisamente un pensiero, il ricordo di un sorriso che mi manca da 10 anni, lei avrebbe capito perché lo faccio, magari non l’avrebbe approvato, ma l’avrebbe capito… a 50 anni ripenso alla nonna… questo è l’Ironman.

C’è una ragazza spagnola in piedi in mezzo alla strada, ci resterà per tutta la gara, ha una tromba e una bandiera e fa un tifo scatenato per tutti. Al primo giro vedo solo i suoi capelli neri lunghi, al secondo giro vedo che non ha le gambe. Ha due protesi. Non smetterà un momento d’incitare tutti, specialmente chi non ce la fa più… questo è l’Ironman.

E’ sera, il tratto di strada in campagna è completamente buio, piccole luci gialle a distanza di 20 metri indicano la strada, non vedi dove metti i piedi, ma c’è un francese, ha più di 60 anni è tutto il giorno che è li, prima a dorso nudo, poi in canottiera, poi col maglione, incita tutti e indica l’ostacolo di una piazzola… non fa parte dell’oraganizzazione ma resterà li fino all’ultimo… questo è l’Ironman.
E’ il mio ultimo giro. Passando ai tavoli dei ristori ringrazio tutti i volontari. Sono stati splendidi. Sono stupiti, mi ringraziano loro e vogliono stringermi la mano… a tutti i tavoli la stessa scena… questo è l’Ironman.

Tappeto rosso. Ultimi 100 metri. Ce l’ho fatta, guardo il cronometro ufficiale non ci credo! Sono sotto le 14 ore (13h 39′), urlo, la folla mi incita, dò il 5 a tanti, temo anche qualche schiaffone stile “Amici miei”. Passo il traguardo.

Mi mettono al collo la medaglia. Bacio mia moglie a cui vorrei dare la medaglia per… mille motivi.
Mi attacco al telefono, chiamo tanti amici per ringraziarli, ho Facebook pieno di splendidi messaggi, 1 km a piedi e rientro in albergo, prima della doccia voglio scrivere una parola: GRAZIE.
Ora sono a casa, mi sono pesato e sono 8 etti in più di quando son partito?!? in gara ho mangiato 2 panini al prosciutto, uno alla nutella, 5 gel grossi, 2 piccoli, uno alla caffeina, 1 fiala di guaranà, 4 barrette glucidiche, 1 proteica , 5 banane e bevuto tanta ma tanta coca-cola… anche il rutto libero è Ironman!

Che è ‘sto odore??? Forse è meglio che mi tolga la maglia da finisher, è da domenica che non la levo manco di notte.

Ciao,
Franco.

lunedì 11 ottobre 2010

Matteo o Matteuccio o più semplicemente il cinghiale sabato 9 Ottobre ha disputato L'Xterra di Capoliveri gara valevole come finale dell'Xterra Italian Tour.
Dopo una stagione lunga e davvero impegnativa questo è quello che il nostro atleta più giovane si è scelto come vacanza, concludendo 50° in 3h03'58'' primo della sua categoria.

Bravo CINGHIALE.

mercoledì 6 ottobre 2010

I NAUFRAGHI DELL'ISOLA VERDE.

In principio furono le Lerins e il medio di Cannes, ma non feci in tempo a pensarla, che questa gara non si svolse più. Poi con Paolo fummo attratti dal 70.3 di San Francisco, con a nuoto la fuga da Alcatraz, proprio come nel film, ma resta un viaggio lungo e impegnativo. Poi scopro il doppio olimpico Des Lumiere (in onore dei due fratelli inventori del cinema e che qui girarono uno dei loro primi cortometraggi) sarebbe partito dall’Ile Vert. Mi dico: è la gara che stavo cercando per coronare uno dei sogni da quando faccio triathlon: la traversata. Così mi trovo catapultato all’alba di una domenica di ottobre nella stupenda baia della Ciotat. Come previsto il mare è già un po’ mosso, e il vento, qui una costante, comincia a soffiare con intensità. Nessun problema, gli autobus navetta sono già pronti per trasportarci all’imbarcadero del Vieu Port, saliamo sui battelli, e si parte. Ognuno avvolto nella propria muta e nei propri pensieri. Fin da subito si capisce che c’è qualcosa che non va, quando giungiamo al piccolo molo d’attracco capiamo che quelle macchie scure nell’acqua non sono alghe o aghi di pino, bensì banchi di meduse. PUTAIN! Alcuni provano a scaldarsi e ne escono con viso, mani e piedi urticanti dal contatto con le meduse. Il caos. I giudici non sanno che fare, gli organizzatori si consultano con i pompieri e i rappresentanti delle squadre più importanti. Il tempo passa, la partenza è ritardata. Non ci posso credere, tutti i sacrifici fatti per arrivare fin qui, nel posto giusto al momento giusto, e adesso ci mancavano le meduse. Troppi rischi, nessuno si prende la responsabilità per eventuali choc dei partecipanti. Il nuoto è annullato. Vengono richiamati i battelli per riportarci a riva. Ma quando arrivano, un folto gruppo di triathleti si oppone, dall’acqua tenta di non farli ripartire, esplode la protesta di chi vorrebbe nuotare a tutti i costi, ovviamente io mi ci aggrego, troppo ghiotta l’occasione per fare un po’ di commedia prima di lasciare l’isola. Alla fine cediamo, è quasi trascorsa un’ora dall’orario di partenza. Si farà un duathlon lungo 10-80-10. Sono deluso, ma il posto è talmente bello che non me la sento di rinunciare e raggiungere i miei compagni di squadra a Carquieranne. Penso che solo immaginare il duathlon di Vallecrosia, m’impegna mentalmente molto più di qualsiasi triathlon. Con la partenza a piedi, che non ho mai digerito, figuriamoci qua, oggi, e con sto vento. Cerco un modo per venirne fuori dignitosamente e decido di fare la prima frazione di corsa tranquilla e poi si vedrà. Il percorso è bellissimo, si costeggia il mare e si attraversano un paio di pinete, per poi tornare in dietro dalla strada principale e via in bici. E qui succede qualcosa che non mi aspettavo man mano che passano i chilometri la delusione per ciò che è stato, lascia spazio alla felicità per ciò che sto facendo. Inizio a pensare a quante volte mi sono rovinato le cose solo perché ho voluto mantenere fede a un rigido pensiero prestabilito. Invece oggi no, sono qui, sto facendo una cosa che non avrei immaginato e mi sto divertendo. Dopo una lunga pedalata sull’altopiano de le Castellet ripiombiamo al mare che avevamo lasciato quasi tre ore prima, il vento è davvero forte e decine di coloratissimi kitesurf e windsurf punteggiano il blu di questa luce unica del midì. La seconda frazione di corsa è difficile da descrivere, una specie di lotta tra l’uomo e i crampi. Sento che mi sto spegnendo ma ormai è quasi fatta. Adesso posso finalmente farmi il bagno. Mi guardo intorno e non vedo meduse. Probabilmente hanno deciso di naufragare tutte sull’ISOLA VERDE.
kla.

Le FOTO: www.flickr.com/photos/akunamatata/sets/72157625088058252/show/

RISULTATI: http://laciotattriathlon.free.fr/file/RESULTATS_IRON_B_DES_LUMIERES_2010.pdf

martedì 5 ottobre 2010

Successo straordinario per la prima edizione della marcia 'Colla Melosa'

Ancora una volta, la sezione del Club alpino di Bordighera coglie nel segno. Un successo inaspettato, ben 111 partecipanti alla prima marcia «Colla Melosa» nel comune di Pigna.
Grazie a ben 30 volontari (sparsi lungo il percorso), tra Protezione Civile di Ospedaletti, la Croce Rossa Italiana di Bordighera e i soci della sezione di Bordigotta, la manifestazione non competitiva - che ha coinvolto tutti gli appassionati di montagna, di fit walking, di north walking,camminatori, runners - si è svolta in un clima di amicizia con gran voglia di trascorrere una giornata all’aria aperta.
Cosa che è stata possibile, percorrendo i sentieri che si snodano tra la Colla Melosa e i Balconi di Marta, nel comune di Pigna, nell’incantevole scenario all’interno del Parco delle Alpi Liguri, «paradiso» flori-faunistico e sede di numerose fortificazioni ancora intatte.
Il motivo principale che ci ha spinto a realizzare questa manifestazione era quello di far conoscere a più gente possibile questa bellissima zona.
Dopo il pranzo, all’interno del rifugio Franco Allavena, incluso nell’iscrizione, si è proceduto all’assegnazione di alcune coppe come riconoscimento, (visto che la marcia non era competitiva), per la partecipazione.
Al gruppo più numeroso , sezione di Bordighera, che ha ceduto il trofeo al secondo classificato il gruppo Ponente Trialon, la coppa al partecipante più giovane anno 2004 Nicodemi Andrea, al più anziano Biancheri Giuseppe anno 1927, alla famiglia più numerosa Nicodemi e al partecipante venuto da più lontano Raudania Giuseppe da Parabiago, Milano. Un arrivederci al prossimo anno e grazie a tutti.
FRANCESCO CARÈ, PRESIDENTE DEL CAI, BORDIGHERA

da la Stampa

Altre foto Di Castellar

Qui potete trovare altre foto di domenica 26: http://alextri.free.fr/galerie/2010/2010-09-26%20TRIATHLON%20CASTELLAR/index.html

giovedì 23 settembre 2010

Secondo te chi è?????

Ivan cazzeggiando come il suo solito sulla rete ha scovato questa foto molto enigmatica. Vediamo se indovinate chi è??????

martedì 14 settembre 2010

Cap d'Ail tinta d'Azzurro

Ennesima vittoria a squadre in quel di Cap d'Ail. Grandi Cinghiali.

La Classifica: http://cms.sictiam.fr/cms/50_cap_d__ail/upload/CLASSEMENT%20TRIATHLON%20CAP%20D%20AIL%202010.pdf

venerdì 10 settembre 2010

“Cento e undici sensazioni dentro un viaggio”

Ti alzi nella notte e quatto ti prepari. Tutto è pronto e niente ti può fermare con il tuo appuntamento.
Il viaggio è lì ed è già bello e confezionato. Le sacche con i ferri del mestiere le hai già riposte come
il fido destriero. Guidi veloce nelle strade deserte verso Monaco, l’oscurità lascia il posto alle prime
luci del giorno. Sono in anticipo e mi siedo là all’entrata della zona cambio; ora sono spettatore di me stesso, mi gusto gli sguardi assonnati ed i corpi un po’ intirizziti degli atleti dal fresco mattino. Tutto è quiete è la giornata è bella. La preparazione è un rito ed ognuno ha il suo.
In disordinata attesa sbadigliamo, ci stiriamo, così per stemperare la tensione che si accumula, poi compressi aspettiamo tutti di nero vestiti la liberazione della sirena. E in un attimo ci ritroviamo con il gusto di salsedine in bocca ad avanzare all’unisono in questa lavatrice, che mena calci e pugni e dove l’istinto ha la meglio.
Il primo elemento è alle spalle e sotto il tendone che sembra il mercato del venerdì, ci muoviamo in ritmi sincopati…ora pronti per saltare sopra ai nostri destrieri di carbonio.
La strada subito si verticalizza ed il vento piano asciuga questi corpi bagnati.
La bocca è ancora salata e il cuore martella nelle tempie, le gambe frullano come spaventate e noi ci inseguiamo come bambini nel gioco.
Il tempo e il panorama ipnotizzano i secondi e i minuti delle lancette. Tutto si comprime e noi ci immergiamo nei pensieri e nelle motivazioni più profonde del nostro viaggio.
Il pubblico ci sospinge e qualche volto e voce amica ci rincuorano, là, nel nostro avanzare verso la metà, nei sali e scendi della strada.
L’ultima frazione ha inizio, schiacciati dai morsi della fatica che sempre più si fa sentire…avanziamo un po’ ubriachi e un po’ statue di sale. Tutti in fila poco distanziati, difficile raggiungere.
La salita mi incatrama al suolo giro dopo giro, non sento più niente, la bocca è aperta a cercare ossigeno che non trovo. Racimolo le poche energie ancora rimaste ed in un ultimo spasmo confuso taglio il traguardo di questo viaggio da noi voluto.
Bello e duro.
Avventuroso e crudele.
Mi ritrovo svuotato ma felice ad incrociare sguardi di persone che non conosco ma che hanno in comune con me la fatica fatta insieme.



IL MALTESE


Un bravi va a tutti i miei compagni di viaggio:Andrea, Remo, Guillaume, Ivan, Eric, Daniele ed al giovane puledro Matteo. Un abbraccio va al nostro furgaro.

martedì 7 settembre 2010

LA SCARICA DEI "111"


























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Altre Foto Qui:

Tristar 2010

Grande Picone in Versione Alberto Sordi:

http://www.youtube.com/watch?v=zQwd-R_Gt6o&feature=player_embedded

venerdì 30 luglio 2010



Torna l'abusivo!!!!

Sabato sera 7 Agosto a Bordighera presso lo stabilimento NST (il primo a partire dal depuratore) si terrà l'abusivo. Si faranno: 400 metri di nuoto 4 chilometri di corsa (inaugureremo la nuova passeggiata di Vallecrosia) e per finire 400 metri di nuoto. Cosa ancora più importante Franchini gestore del NST ci organizza una grigliata di carne fino ad un massimo di 60 persone, tutti gli interessati portino entro Mercoledì 4 Agosto 15€ a Valmer o a me.

venerdì 23 luglio 2010


Due cinghiali tra i ghiacci




LENTAMENTE MUORE CHI EVITA UNA PASSIONE, CHI VUOLE SOLO NERO SU BIANCO E I PUNTINI SULLE I PIUTTOSTO CHE UN INSIEME DI EMOZIONI CHE FANNO BRILLARE GLI OCCHI, QUELLE CHE FANNO DI UNO SBAGLIO UN SORRISO, QUELLE CHE FANNO BATTERE IL CUORE DAVANTI AGLI ERRORI ED AI SENTIMENTI…………………EVITIAMO LA MORTE A PICCOLE DOSI RICORDANDO SEMPRE CHE ESSERE VIVO RICHIEDE UNO SFORZO DI GRAN LUNGA MAGGIORE DEL SEMPLICE FATTO DI RESPIRARE……….

Quante volte leggendola ho fortemente pensato che Neruda l’avesse scritta per me, magari ci siamo conosciuti e il mio vivere ha ispirato il poeta, mi dicevo…. quanto sento mie le parole di questa poesia e quindi quanto immenso e piacevole stupore ho provato nel trovare queste parole su un foglio appeso vicino a decine di altri fogli e foto di imprese alpinistiche, in un rifugio semi-sperduto nel massiccio del monte rosa a 3400mt sul livello del mare…
Chissa perché era lì…chissa cosa pensava la persona che vicino a Messner ed al k2 ha ritenuto sensato mettere una poesia di Pablo Neruda, poeta famoso ai più grazie al film del grande Troisi…
Forse invece non c’era posto migliore di quel rifugio, perché credo che chiunque sia arrivato fin lassù ed abbia letto quelle poche righe, si sia sentito come me il protagonista dei pensieri del poeta.
Forse è veramente il posto migliore dove collocare così belle parole…..un luogo cosi lontano da tutto dove la semplice azione di respirare diventa così difficile da farci ricordare di essere vivi.



Un gioco che ho sempre amato fare è quello di partire da un dato di fatto e procedere a ritroso fino a trovare il famoso bivio…quello che ti fa trovare in un luogo piuttosto che un altro…dire una cosa piuttosto di un’altra o anche solo pensarla
Ce ne sono migliaia di bivii nella vita di ognuno di noi, alcuni di questi ci appaiono più di altri…ecco il gioco consiste nel cogliere il primo bivio che ci viene in mente senza stare a pensare se sia o meno quello realmente più importante.
Domenica nel rifugio, in compagnia di Neruda ho ripensato a quale bivio mi avesse portato li e mi è subito venuto in mente un luogo: Perinaldo, ed una circostanza importantissima, il compleanno del Ponente triathlon….lì più che un bivio per la prima volta ho incrociato la mia strada con quella di “uno psicologo che non sa nuotare, che corre solo in montagna, con la faccia un po’ stralunata, ma decisamente simpatico”.
Era seduto davanti a me, si è parlato di figli, di vita quotidiana…niente tempi nè ripetute nei nostri discorsi, di lui mi ha colpito la semplicità e il fatto che non guardasse il mio “linguaggio fisico”…..chissà perché quando si pensa ad uno psicologo si pensa a qualcuno che non fa altro che analizzare il prossimo, quindi il perché dici una cosa piuttosto che un'altra, o perché incroci le braccia davanti, piuttosto che metterle sul tavolo…tutte fisse che si hanno quando abbiamo di fronte qualcuno che pensiamo possa leggerci dentro!!!
Comunque la cena finisce e dello psicologo non nuotatore non rimane che un ricordo…..
Ci si vede nelle riunioni, in qualche gara, ci si segue nei vari resoconti sul comune blog, ma nulla più….poi un paio di mesi fa le nostre vite si incrociano di nuovo su una falesia a Gorbio e sboccia “l’amore” che convoglia in un matrimonio celebrato tra il Col del Turini e Cap d’Ail, passa per piccole crisi su un catamarano scuffiato a largo di bordighera per ritrovarsi più forti e uniti che mai alle pendici del monte Castore.
Ecco perché sono lì al rifugio insieme a Neruda.
Yann (sarà poi veramente uno psicologo?) è accanto a me, non è il ritratto della salute, ha patito l’altitudine come è quasi normale che sia, per chi in meno di 10h passa da 0 a 3500mt sul livello del mare.
Beviamo un the caldo, tutto è nuovo per noi.
Non conosciamo il nome dei monti che ci circondano, non avevamo mai visto un rifugio in vita nostra, non sapevamo neanche che è inutile portarsi le ciabatte…te le danno loro!!!
Ci guardiamo, non è il nostro posto…non ora, non per come pensiamo debba essere…
Non ne parliamo subito, avremmo modo di farlo a ritorno, ma so che i suoi pensieri corrono sulla stessa mia lunghezza d’onda… forse stiamo facendo una cosa, sicuramente alla nostra portata, ma che non ci appagherà al 100% per il come la stiamo facendo.
Lo psicologo che non sa nuotare continua a non stare bene, ha difficoltà più di altri a respirare o credo che a differenza di altri lui non provi nessuna vergogna a renderlo visibile e già da subito, conoscendosi, decide che è il caso di fermarsi lì, decide da quel momento che SOLTANTO L’ARDENTE PAZIENZA PORTERA AL RAGGIUNGIMENTO DI UNA SPLENDIDA FELICITA….. Neruda è sempre li con noi!!!


Il Castore, il Monte Bianco, l’Everest sono lì da sempre e saranno lì dopo di noi……
Mangiamo e andiamo a passare una delle notti più serene che ricordo negli ultimi mesi, dove nè il vento, nè i serracchi nè la tosse somatizzata di una nostra vicina ha benché minimamente rovinato.
Ci svegliano alle 4, Yann sta meglio, ma ormai ha deciso e nulla può fargli cambiare idea…farà colazione con noi e poi scenderà a valle…… pagherei oro perché venisse su, lo farei perché è per lui che sono lì, lo farei perché so che mi mancherà il non poterlo abbracciare in vetta, il non poter condividere qualcosa che non conosco ma che so sarà grande…..però lui è così e non sarebbe la persona che è se si fosse fatto convincere a provare “per un quarto d’ora”.
Fa freddo, mi danno una piccozza, mi mettono dei ramponi ai piedi, mi legano a degli sconosciuti e via sul ghiacciaio con pendenze al 45% e con la consapevolezza di non poter distrarsi nemmeno per 1 sec nelle successive 3h…Ci salutiamo con Yann solo fisicamente perché so che comunque mi accompagnerà così come io scenderò a valle con lui… so che mi guarda e so che sa cosa io stia provando e non perché lo abbia studiato all’università ma perché siamo fatti della stessa materia, una materia che agli occhi di molti può sembrare priva di senso logico e basata su un profondo egoismo, dove non cè spazio per nessun altro se non per noi stessi, ma è cosi che siamo fatti e LENTAMENTE MUORIAMO se ogni tanto non facciamo qualcosa che ci ricorda di essere vivi..






Sono le dieci di sera e mi sveglio da un sonno beato. Mi trovo nel luogo più sicuro e bello del mondo a 3400 metri di altitudine: il rifugio delle guide di Ayas, su di uno spuntone di roccia scura, affacciato al ghiacciaio immenso e maestoso.


Ho fatto un sogno. Arrampicavo su una via non facile e lunghissima, eppure le mani e i piedi trovavano appigli impercettibili ma sicuri. L’ascesa era sempre più veloce, senza intoppi. Non avevo né corda, né rinvii. Nessun timore, solo il desiderio di salire. Arrivato in cima perdo una presa, ma un istante prima di sentire il mio corpo precipitare nel vuoto, una mano forte mi afferra, alzo lo sguardo e incontro il volto serio di Emiliano che si apre in un caldo sorriso e mi dice: “pensavi di essere solo eh?”
Quel volto serio l’ho visto varie volte oggi nell’avvicinamento al rifugio. Mi guardava e con lo sguardo, discretamente, voleva sapere come stavo, perché si vedeva chiaramente che non andava bene, che stavo arrancando e sputando l’anima già solo tra i 2500 e i 3000 metri. E quella mano anche, l’ho poi sentita, forte, nella sua presenza, nella decisione di starmi vicino, in mezzo alla nebbia e sotto la grandine, negli ultimi 400 metri di dislivello, dove avrei voluto sedermi tra la roccia e il ghiaccio e aspettare il mattino, il sole, per poi correre a valle. Quello sguardo invece mi ha portato su, al caldo e al riparo. Ora fuori impazza un vento furioso che sembra voler scoperchiare la nostra casetta. Mi viene in mente la favola del lupo e i tre porcellini che racconto sempre a mio figlio. Ma il lupo là fuori non c’è più. Il lupo è stato dentro di me e la casa, ora, è di mattoni.



Apro gli occhi, mi giro e incontro lo sguardo di Emiliano, sdraiato nel letto, ha la schiena larga e l’anima delicata. Entrambi ci infuochiamo per un sogno e poi lo realizziamo, siamo volubili, testardi, appassionati e indecisi, sinceri ed essenziali, poi anche tanto diversi. Ma il tratto che agli occhi degli altri ci accomuna di più è sicuramente quello strano ermetismo che ci compone. “Come si sta bene qui” faccio io. E lui risponde: “Si sta troppo bene”. Attorno a noi, negli altri letti, sono tutti un po’ agitati. Tra poche ore la sveglia nella notte. Infileranno giacche e guanti, ramponi e piccozza, e via alla conquista del Castore, la vetta di 4200mt.
Ma una montagna non si conquista tanto facilmente. Puoi arrivare su, avere fortuna, essere accompagnato da brave guide (come le nostre), anche se è la prima volta che vedi un ghiacciaio in vita tua. Ma la montagna può decidere di non farti passare. Perché? Questo sta a te scoprirlo.
A me la montagna, quel giorno, ha detto no. Mi ha schiacciato dall’alto della sua magnificenza, mi ha tolto il respiro e segato le gambe. Poi io ho insistito e allora mi ha proprio stritolato, facendomi quasi perdere il senno. Allora ho capito. Ho capito che esiste ancora qualcosa di più forte dell’uomo e ho ritrovato un senso di religioso rispetto per gli dei, che onnipotenti, stavano tutto intorno a noi, lassù, in quell’aria sottile. Dal momento in cui ho capito che mi dovevo semplicemente fermare e inginocchiare con rispetto alla montagna, non ho più avuto paura.
Saper tornare indietro è il viatico per poter andare avanti. Queste parole inviate da un amico che la sa lunga, mi hanno tolto ogni dubbio, mentre le guide cercavano di convincermi ad attaccare la vetta. Semplicemente li lascio partire e dalla finestrella del rifugio fisso intensamente la figurina del mio compagno, secondo di cordata. Lo seguo per otto minuti e scatto anche una foto, finchè non scollina oltre la prima salita del ghiacciaio. E consegno a lui le mie aspirazioni, il mio eroismo e la mia forza ritrovata, perché possa tornare vincitore. Così sarà!



mercoledì 30 giugno 2010

1 olimpico e 1/2‏

A due settimane dalla scoperta del pianeta extrasolare più simile alla Terra da parte degli astronomi dell'ESO, gli scienziati della NASA rispondono ai colleghi europei con l'identificazione del pianeta extrasolare "più" strano. HD 149026b, questo è il nome del pianeta, "è piccolo, molto denso, e ora sappiamo che è anche molto caldo.
Potrebbe iniziare così l'avventura conclusasi da 5 cinghiali tra cui un veterano il 27/06/2010.
Manosque uscita A51 oppure sotto consiglio di Claudio per un bel giro panoramico conviene uscire a Saint Maximin e poi seguire le indicazioni per Rian e continuare per Manosque percorrendo una lunga strada a doppia corsia che divide le ampie distese di grano bagnate da enormi irrigatori meccanici con un raggio d'azione di 400mt.Oltre al paesaggio tanto diverso dal nostro un'altra cosa che colpisce appena addentrati in questo territorio e il gran caldo. Il forte Sole e il giallo del grano danno la sensazione di essere stati buttati dentro un'immensa palla di fuoco,inutile cercare refrigerio qui non esiste ombra e dai rubinetti esce solo acqua calda.Ogni tanto il cielo concede un pò di tregua con qualche nuvoletta secca ma la piogerella non fa in tempo a toccare terra che già evapora come le idee confuse di chi come noi non si ricorda più che cosa e venuta a fare a Manosque.
Il paesino e carino se girato una volta sola alla seconda volta incomicia a stare sulle palle in compenso hanno un bel parcheggio sotteraneo molto fresco ed economico.
La carne e ottima e sanno arrostire molto bene anche le patate ma occhio a prendere la pasta perchè vi ritroverete come me a dare spiegazioni sul perchè non è di vostro gradimento uno spaghetto alla bolognese condito col Ciappi.
Il 27/06 e il giorno in cui cade la riccorenza del gemellaggio tra Manosque e Voghera. Nelle piccole piazze del paese piccoli palchi accolgono musicisti francesi che si sforzano ad attirare l'attenzione dei turisti di passaggio con brani di cantautori Italiani es: Ramazzotti con "Più bella cosa non ce" uno strazio.
Parlando di triathlon queste sono le strade dei cronomen e pure dei ciuccia ruote, la partenza rispetto a 2 anni fa l'hanno spostata alle 9.00 del mattino per evitare di soccorrere gente collassata sotto al sole.L'organizazione tipica francese lascia sempre senza parole tutto al max della sicurezza. Una volta usciti dall'acqua incomicia il bello ben 53km di vallonato a salire si passa da una strada trafficata all'entroterra locale tra il verde degl'alberi e il solito giallo del grano su e giù con curve e controcurve a velocità sostenute.La natura che si presenta davanti e da mozzafiato e pure il caldo te lo mozza, al 30esimo km un lungo rettilineo taglia a metà i campi di grano e quelli di lavanda n mezzo ai campi i Giapponesi armati delle loro macchine fotografiche scattano foto a ripetizione forse ignari del pericolo che corrono il loro piedi sandalati "le biscie".
Una volta arrivati in zona cambio allestita nella pineta vicina al lago le forze vengono a mancare per affrontare un cross lungo 10km che si attorciglia tra gl'alberi e si distende per poco sulla riva del lago, 2 giri interminabili per chi non ha più forze da spendere. I 5 cinghiali tagliano tutti il traguardo, ottima prestazione di Claudio e ottima quella di Stefania che al suo secondo lungo vanta la prensenza a 2 degl'olimpici più duri.In ordine Claudio, Alessio,Andreone,Ivan,Stefania per i 3 di mezzo tanta fatica per conquistare il fondo della classifica ma orgogliosi di aver tagliato il traguardo.
















Edvard Munch, L'urlo, 1885

L'urlo e' il piu' celebre quadro di Munch ed, in assoluto, uno dei piu' famosi dell'espressionismo nordico. In esso e' condensato tutto il rapporto angoscioso che l'atleta Ivan avverte nei confronti del triathlon di Manosque.







giovedì 17 giugno 2010


Buongiorno Mme Catherine, noi non ci conosciamo, ci siamo incontrati una sola volta nel corso delle nostre vite e, anche se per me è già abbastanza, sarebbe troppo pretendere che lei si ricordi di me. Del resto non mi ha visto che per pochi secondi sarebbe impensabile che in quel brevissimo lasso di tempo mi avesse notato e tra noi due ci fosse stato un qualche tipo di scambio. Non potrei nemmeno pretenderlo, perchè se tutto fosse andato come doveva andare, noi non ci saremmo mai incontrati e non avremmo avuto nessun tipo di relazione, tantomeno il piacere di conoscerci. In tal caso, non credo che qualcuno di noi due se ne sarebbe mai lamentato: sono cose queste che ai giorni nostri avvengono quotidianamente. In ogni istante della nostra giornata, nelle nostre città, ovunque, ci sono auto, pedoni, biciclette che si incrociano un attimo e poi proseguono per la loro strada nel più completo oblio.

Sono convinto che ciò sarebbe accaduto anche nel nostro caso quella domenica mattina un po' fredda di inizio primavera (mi dicono, visto che, purtroppo, lo shock ha cancellato in me qualsiasi ricordo dell'incidente) e certamente, lei non me ne avrebbe voluto se avessi continuato a pedalare tranquillamente sulla mia bicicletta senza accorgermi dell'arrivo della sua auto in sorpasso sulla corsia opposta. E' così che funziona. Tutto questo incontrarsi eppur ignorarsi fa parte delle regole che noi esseri umani destinati a vivere in società ci siamo dati per continuare a sopravvivere. Sarebbe assurdo, quasi disumano, infatti, ricordarsi ogni giorno, ad esempio, di tutti coloro che abbiamo incrociato per la strada andando al lavoro: la cosa forse ci occuperebbe a tal puno da non lasciare spazio ad altro per tutto il resto della giornata. Contro questa evenienza abbiamo infatti stilato un librone di norme che volenti o nolenti dobbiamo rispettare: il codice della strada.

A entrambi credo comunque resterà memoria di quel che è accaduto. A lei, come minimo, per esperienza e consapevolezza di utente della strada. A me per la sofferenza e il disagio di tutto ciò che ho passato. Il fatto che ora le stia scrivendo, non significa naturalmente che io stia meglio, nè che lei possa sentirsi esentata di alcuna delle sue responsabilità. Scrivere lo facevo prima e continuo a farlo tuttora, non ne posso fare a meno. Anzi. dopo questa esperienza non si meraviglierà che ritorni a scrivere con frequenza ancora maggiore. Inoltre gli amici mi suggeriscono di farlo e i medici lo consigliano perchè aiuterebbe a superare lo stress dell'incidente. Pur non credendo io al valore terapeutico della scrittura, mi sono accorto che il corpo e la mente hanno tempi differenti per riparare i propri danni: l'uno procede spedito, piatto, deciso, pilotato da non so che verso il ripristino della situazione iniziale di buona salute; l'altra invece è soggetta a continui sbalzi, umori e venti inattesi che la colgono nel cercare di spiegare l'accaduto. Proprio ad uno di questi, impetuoso, contrario, spietato, ho dovuto sottrarmi per cercare di spiegarmi e spiegarle che cosa sia stato per me l'essere investito e poi lasciato agonizzante sull'asfalto, a causa della sua fuga.
Il fatto che le stia scrivendo, non significa nemmeno che io l'abbia perdonata per ciò che è successo. Sono dell'idea, forse antiquata, forse ambiziosa, che il perdono sia qualcosa che vada guadagnato e per quanto mi riguarda, ciò che lei ha fatto finora non è abbastanza per ottenerne uno nemmeno parziale: constuirsi alla polizia solo dopo quattro giorni dall'avermi investito e abbandonato per strada ha giovato certamente più a lei, alla sua coscienza e alla sua fedina penale che non a me e alla mia stima del genere umano. Con questo non vorrei responsabinizzarla: lei può aver avuto i suoi motivi per fuggire, ma io ho avuto i miei buoni motivi per sopravvivere.

Una parte delle sue azioni di quella mattina, quelle vincolate alla legge, come il commettere un sorpasso azzardato, invadere la mia corsia (tutte cose che ho letto sulle pagine di cronaca dei giornali) e violare o meno il codice della strada, saranno i giudici a decidere se e come punirle o perdonarle, su ciò quindi non voglio discutere. Su altre, invece, come la sua assenza nei giorni successivi al nostro rendez-vous o il poter pensare che tutto si possa risolvere semplicemente con una lettera di scuse (inviata due settimane dopo) e l'intervento di un giudice e un buon avvocato, potrei avanzare obiezioni sul fatto che esse rientrino, oltre che nelle opinioni personali, nella giusta dialettica intrinseca del nostro essere esseri umani. La cosa più grave, infatti, quella che mi ha offeso in qualità di essere vivente prima che in quella di essere umano, è stata proprio il suo lasciarmi, il suo abbandonarmi subito dopo avermi certamente visto sbattere contro il suo cofano, romperle parabrezza e specchietto retrovisore (elementi tratti che dai verbali della Gendarmerie).

Non fu, il mio di arrivarle addosso, il gesto deliberato di un folle, compiuto volutamente ai suoi danni, non lo fu perchè, oltre a non avere alcuna motivazione contro di lei, sono stato proprio io ad uscirne peggio, demolito nel fisico (trauma cranico, costole, sterno ed entrambe le scapole rotte con perforazione dei polmoni ed emotorace, dicono i primi bollettini medici) e nella mente (uno stato di amnesia che mi impedisce tuttora di ricordare tutto, dalla sera prima dell'incidente a quando mi sono svegliato in ospedale vicino a mia madre che piangeva). Comunque sia stato, sto pagando molto caro questo mio essere stato un don Chisciotte della stada ed aver inconsapevolmente intepretato la sua automobile come un mulino a vento. Ma proprio per queste premesse, la sua fuga così repentina dopo il nostro scontro assume per me un significato particolare, quasi esistenziale, ontologico direi. Il fatto che io stessi rischiando la vita (gradualmente non potei più respirare, i miei polmoni si stavano riempiendo di sangue) e lei mi abbia lasciato lì e si sia subito allontanata, senza nemmeno la considerazione che si deve non dico ad un cane, ma ad accertare egoisticamente i danni per il proprio veicolo, mi ha fatto capire la relatività delle cose, ossia quanto poco valeva la mia vita in quel momento per lei. Capisco, il panico, in quell'istante, come mi scrive nella lettera, bloccava la sua mente e le impediva di decidere come forse qualsiasi altro essere umano avrebbe fatto. Ma di in quel momento, comunque, lei si è trovata di fronte ad una scelta: salvare lei stessa da una possibile accusa (per di più la seconda, visto che ha già un procedimento in corso per l'investimento di un ciclista), oppure salvare me da una possibile e rapida morte. Lei ci ha impiegato pochissimo a decidere, una frazionde di secondo: le è bastato premere sull'acceleratore della sua auto e sgattaiolare via. Io sono rimasto lì, dove mi ha lasciato.

Non so se questo sia dipeso da una sua assoluta fiducia nelle grandi capacità degli operatori del pronto soccorso locale (mi hanno salvato la vita) cui è stato necessario intubarmi per evitare che morissi e nei medici dell'ospedale Saint Roche di Nizza nel quale sono stato poi ricoverato. Non so, forse se la paura di aver paura può generare in questi casi un terrore più cieco del caso anzichè un atto di responsabilità. Certo è che in questo modo, in quell'istante, è come se lei avesse avuto la possibilità non comune di scegliere se un suo simile doveva vivere o morire. E' questo che comporta il prestare soccorso a qualcuno dopo averlo investito. Da ciò che ho raccontato finora penso si deduca chiaramente quale fu la sua scelta. Ed è questo che mi offende. Come essere vivente ho acquisito con la mia nascita, in questo mondo, uguali diritti di vita che tutti gli altri che lo popolano. Il fatto che lei abbia preferito tutelare sè stessa in quell'istante è come se abbia offeso questa mia dichiarazione di esistenza: è questo che è più difficile perdonarle. Prestare soccorso dopo un evento del genere, non è soltanto un rigo del librone di cui le parlavo prima. Sta scritto ben più dentro, ben più a fondo, nel nostro libretto di istruzioni. Qualcuno si è fermato effettivamente quella mattina: ed è stata una bambina. Era per strada con sua madre e non ha esitato a chiedere come stavo, ad accarezzarmi il volto mentre svenivo. Forse da bambini quelle istruzioni le abbiamo scritte dentro: anche in una società naturale, senza stato, come quella di bambini, l'istinto spinge a fare certe cose e quella bimba è stata in grado di fare meglio di lei. Nel momento in cui lei si è allontanata lei ha deciso: ormai non si decide solo a parole, ma sono altresì importanti i nostri gesti, le nostre azioni.

Non dico che una sua decisione di fermarsi avrebbe avuto meno conseguenze su ciò che ho passato dopo: le fratture erano tali che ci sarebbero lo stesso voluti operazioni e mesi d'ospedale; ma la disperazione dei miei genitori, l'angoscia dei miei amici, quel senso di ingiustizia che per giorni è rimasto al mio capezzale, non dico non si sarebbe avvertito, ma forse l'avremmo sentito meno. Come la sua assenza: di tutto ciò che accade, volontario o no, siamo responsabili con le nostre azioni. Scomparire come ha fatto lei, sono sicuro non l'ha aiutata a sentirsi meno in colpa. E nei giorni successivi alla sua costituzione, quando ormai i nostri giochi di responsabilità erano fatti, tutti avrebbero valutato molto positivamente una sua visita, una sua telefonata al mio letto d'ospedale per chiedere scusa. No, si è trattato di scegliere, pure in quello: lei ha ancora preferito fuggire.

Ora, ormai, è troppo tardi. Ormai credo che tra noi due è meglio lasciare che si parlino solo giudici e avvocati. Ma anche di questo non sono contento: esistono codici ben più elevati che quello della strada e quello civile: noi (alcuni di noi) siamo in grado di riconoscerli quando si presenta l'occasione. Credo che la sua occasione però sia passata per sempre: se non ci è riuscita allora, spero non ci siano mai più incidenti come il nostro da permetterle di farlo. A me rimane anche la voglia di intrarla: non più però in qualità di vittima. Forse ripeterei la stessa cosa di quella fresca mattina di maggio, a Roquebrune, pedalando tranquillo per strada, scorgendola arrivare correttamente sulla sua corsia: solo allora forse io e lei potremo guardarci davvero negli occhi. Sarebbe la prima volta.

Giacomo Revelli

martedì 8 giugno 2010

BUON GIORNO, BEAULIEAU

Ci sono gare che si somigliano e ci sono gare che fanno di tutto per somigliare ad altre. Beaulieau no. E’ unica, somiglia soltanto a se stessa. Inutile chiedersi: “Ma con tutte le strade che ci sono che senso ha andare per tre volte dal bord de mer alla Moyenne Corniche per poi tornare sempre qui?”. E’ diventata una specie di totem, con il quale i triatleti prima o poi devono confrontarsi. La soddisfazione di nuotare alle prime ore del giorno nella baia perfetta, per poi prendere “l’ascensore” verso Eze, farsi un giro e vedere che tempo fa (qui non sarebbe attendibile una stazione meteorologica) nel corso degli anni ci abbiamo trovato di tutto, nonostante la gara si svolga sempre nello stesso periodo: dal caldo torrido alla grandine, dal diluvio al vento, persino la nebbia. Il tempo di scendere, cercare gli sguardi delle persone che sono venute a vederci e poi via si riparte, ma anziché premere il bottone e affidarsi all’energia elettrica sono le nostre forze che ci portano su. Scesi di nuovo si posa la bici, nel frattempo le gambe sono lievitate come una torta ben riuscita e inizia la terza ascesa, la più dura, ma la più particolare. E sì perché nel triathlon che cerca di diventare sempre più uguale, con percorsi podistici brevi da ripetere svariate volte, qui si compie ancora l’antico rito della scomparsa. La gente che attende si chiede: ma che fine avranno fatto, come starà andando? E’ il fascino del giro unico, che può trasformarsi in sorprendente o deludente secondo i casi. Una specie di triathlon nel triathlon: salita discesa e pianura, fortunatamente alla fine non si cambia più c’è l’arrivo. Facce stanche ma felici e poi a pranzare tutti insieme dai funamboli del circuito mondiale, fino agli ultimi amatori arrivati. Siamo tutti andati bene, e un applauso speciale va alla Doc Stefania un debutto olimpico davvero onorato. Contenti, festeggiamo il presidente che dopo un paio di stagioni difficili torna ai vertici della sua categoria. Un pensiero corre al nostro grande atleta e scriba ufficiale. Ci manca, ma tornerà. Ci salutiamo e l’ultimo sguardo va alle sedie allineate nel parco bici, ormai vuote, arrivederci. Il sole scalda davvero e nel frattempo a Pietra Ligure sta per partire la prima batteria(….????). Un altro mondo.

CLAUDIO