giovedì 14 ottobre 2010

Trail di Gorbio

10.10.10 Trail de Gorbio

Una domenica come tante in un piccolo paesino dell’entroterra di Mentone: Gorbio, della contea di Nizza.
Da un paio d’anni qui vengo spesso: giri in bici, super sprint (l’unico triathlon a cui mi sento di poter partecipare), arrampicata sulle sue stupende e difficilissime falesie e oggi un bel trail di 42 km.
Arrivo presto che è ancora buio e fa freschino. Mi iscrivo, ritiro il pettorale e con calma mi preparo.
Stranamente non avverto nessuna tensione pre-gara, sarà che ho in testa di fare un bel lungo, come allenamento. Dopo aver dato un’occhiata al percorso mi rendo conto che non sarà uno scherzo. Sono relativamente abituato a percorrere lunghi tratti in montagna e mi sento bene al solo pensiero di ciò che mi aspetterà: nulla di estremo, di impossibile, ma qualcosa di assolutamente umano, semplicissimo, ciò per cui siamo stati in qualche modo plasmati da millenni qui in Liguria, arrampicare su ripidi sentieri per poi saltellare giù in discesa. E oggi ripeterò gesti fatti infinite volte dai miei antenati, loro per necessità di sopravvivenza, io per necessità di riconciliazione psichica con la mia essenza, le mie origini. Ogni qualvolta corro nelle montagne che incoronano il mare ho, per qualche ora, la fortissima sensazione di rispondere ad uno scopo vitale, mi sento realizzato, in pace con il mondo. Purtroppo si tratta solo di alcune ore.
Ma il trail è pur sempre una gara.
Alla partenza mi rendo conto che il livello è molto alto. In pochi minuti rimango subito tra gli ultimi, che tra l’altro hanno tutti l’età di mio nonno e mentre corrono in salita chiacchierano di caccia al tordo, diletto a cui oggi hanno dovuto rinunciare per la corsa. Io semplicemente cerco di trovare un ritmo, respirare e non boccheggiare e non perdermi anche questi cinque compagni. Il buon Borfiga dice sempre che in una gara è impossibile arrivare ultimi, io più volte sono riuscito a confutare la sua teoria.
I primi 6 km sono in salita, vado piano come al solito, ma appena scollino trovo un buon passo di corsa e recupero qualche eroe mezzo stramazzato per lo sforzo, non senza un po’ di sarcasmo li incito a ripartire, sorpassandoli con un sorriso beffardo. Dal decimo km comincia uno stato di grazia che durerà fino alla fine, sto bene e per diverse ore non incontro nessuno, corro e i miei sensi vivono appieno questo magnifico autunno: i funghi lungo il sentiero, l’odore delle foglie cadute già mischiate al terriccio bagnato, i colori del cielo e del mare lontano. Tutto è praticamente perfetto, vorrei potesse durare per sempre (lo dico sempre quando ripenso ai trail fatti). Le stagioni di mezzo, quelle che si dice non esistano più, sono da sempre state le mie preferite, e allora forse anch’io svanisco al mondo per qualche ora, trovando tutto ciò che mi serve per esprimermi ed esserci anche se su di una linea di soglia. So per certo che se anche dovessero sparire tutte le balise, io correrei per ore e alla fine atterrerei in un luogo interessante. Ho due litri d’acqua, barrette e gel a sufficienza per un bel po’. Corro e lascio libero spazio a ciò che clinicamente definirei un delirio. Eppure il mio cervello riesce a coordinare il corpo in senso motorio mentre l’anima si incontra con il mondo, con questa natura così a portata di mano eppure così estranea per noi uomini dell’era della tecnica.
Dal mio volo pindarico atterro a St. Agnes in forma, felice. Mancano solo sette km all’arrivo, ma tre di ascesa al Baudon, il mitico 1200 - l’ultima fatica che bisogna affrontare nel Neandetrail - e poi quattro di discesa tecnica fino a Gorbio. Salgo bene e sono su in un’ora. In cima mi godo il paesaggio, sul mare c’è levante ed è tutto bianco di schiuma, a nord invece vedo chiaramente il monte Bego, anch’esso spolverato di neve e le Alpi. Poi guardo la discesa e mi scatta una molla nel cervello, lo spirito agonistico da cui non puoi affrancarti quando sai che è possibile conquistare qualcosa, anche solo una posizione. Sarà un retaggio di quando andavo a cavallo e le gare le vincevo veramente, sarà che oggi è una giornata speciale, sta di fatto che mi butto giù per la pietraia come un matto e a metà pendio raggiungo e supero, uno dopo l’altro, cinque corridori. Due non ci stanno e sento che accelerano dietro di me, non mi posso girare altrimenti rischio di volare giù. Arrivo in fondo al Baudon e salto l’ultimo ristoro. Riprendo fiato rallentando un pochino e sento qualcuno dietro di me e allora riparto. Il sentiero si allarga, vedo Gorbio più sotto, il tipo mi affianca e continuiamo a spingere, sono al limite e quando penso che non tarderà a superarmi grida: “cazzo rallento, devo respirare!”. Manca meno di un km e ora sono nuovamente solo, ho difeso il mio posticino e non mi sono fatto superare, ma tutto ad un tratto sento nuovamente qualcuno arrivare da dietro e penso: “Stai a vedere che si è ripreso e ci riprova”. Mi giro e invece è un altro tizio, dell’AS Monaco. E qui comincia la vera battaglia sull’ultimo km di sentieri, scalinate e pietraie, è un continuo affiancarsi e staccarsi, in un progressivo aumentare di ritmo. Con un balzi salto i quattro scalini che immettono sulla strada asfaltata negli ultimi 100 metri dall’arrivo, sono davanti, ma il pazzo accelera, accelera, accelera e io non mollo, così ci ritroviamo affiancati in uno scatto finale veramente da fuori di testa. Dò un ultimo strappo e mi infilo nella piazza per primo, dove sta avvenendo la premiazione del trail di 18 km, Besnard è sul podio: quinto assoluto, meno male che mi aveva detto di essere sovraffaticato . Lo speaker si ferma e la gente si gira per capire chi sono sti due pazzi che si scornano per conquistare il 63esimo posto su 78 rischiando l’infarto. Ma ce l’ho fatta, ho vinto la mia gara in 6h37...:-)

1 commento:

Anonimo ha detto...

Hai visto che ho ragione!!!! Se non sei arrivato ultimo questa volta con la panzetta che hai, non ci arrivi più! Bravo.