martedì 23 giugno 2009

IL TRIATHLON ROSE'

A molti non piace, ma se fatto bene è il vino dell´equilibrio; con quel suo stare nel mezzo e poi bevuto fresco, nelle serate estive diventa impagabile. Meglio non farlo invecchiare, è un vino Pop. Fin dal colore.
Ma non dovevamo parlare di sport?
E´ quello che sto facendo, perché domenica una compagine di quattro cinghiali ponentini (accompagnati da due insostituibili tifose) sono andati a fare un triathlon che ha esattamente le stesse caratteristiche del vino che, nel territorio in cui abbiamo gareggiato, viene prodotto.
Bello, breve, equilibrato, estivo.
Bello, per la sorprendente nuotata nel bacino del torrente Caramy, un angolo del Var poco conosciuto, rimasto autentico, distante dallo charme profumato della Provenza e dal chiasso modaiolo della costa.
Per la pedalata sulle colline punteggiate da infinite gemme di verde, da quello brillante dei vitigni a quello austero delle querce.
Per la corsa sugli altalenanti pendii del lungolago, e con l´attraversamento del caratteristico paese di Vins sur Caramy.
Breve, praticamente una cronometro che supera di un po´ l´ora. Che ha richiesto tanta concentrazione, nuoto senza muta, quindi importante la scelta delle traiettorie per non prendere colpi, bici a viso aperto, senza scia e spesso controvento, quello che c´è c´è, obbligatorio tirarlo fuori, infine la corsa in mezzo agli avversari di giornata con i quali si finisce sempre per condividere fugaci sguardi di sofferenza.
Equilibrato un po´ come il rosè, mezzo bianco e mezzo rosso, ma con le giuste proporzioni, quindi bisogna trovare le proprie: è una crono l´ho detto, dove si sbaglia si paga, perché tutto rientra in gioco quando il vento è contrario o le salite a piedi sotto il sole impietoso diventano piccole processioni di triathleti colorati.
Estivo finale a fare i tuffi in mezzo ai ragazzini francesi, come se festeggiassimo la fine della scuola e l´arrivo dell´estate insieme a loro.
Tutti contenti, nello zaino una bottiglia di Cotes de Provence da mettere in fresco per la cena.
Potevamo chiedere altro al giorno più lungo?
Claudio.

Altre foto di domenica qui: http://picasaweb.google.it/grgiacomorevelli/Domenica2106?feat=directlink

Video: http://www.youtube.com/watch?v=qUExR2b9qb8

Classifiche: http://toulontri.free.fr/0-docs/vins.pdf

mercoledì 17 giugno 2009

Les Cimes du Mercantour





..è circa l'una del pomeriggio,a Sospel fa caldo. Nel giro di pochi istanti,il mio stato d'animo precipita.. Gioia, convinzione e ottimismo sono stati spazzati via in pochi secondi, ora si alternano impotenza e speranza, delusione e gioia, rabbia incertezza, paura..Al mio fianco, un Amico..e la voglia di non arrendermi!

Sportivi, gente strana..sempre alla ricerca di qualche sfida, di qualche impresa, di esperienze nuove,faticose, in grado di regalare enormi gioie, qualche dolore,impagabili soddisfazioni..siamo fatti così.

Questa era nata per gioco, come sempre per quanto mi riguarda..Una segnalazione via email da Paolo che si chiedeva se il testimonial nella locandina dell'evento, fosse o meno il neoponentino "Guillaume da Breil", una pedalata nei giorni dopo proprio con Guillaume, subito felice all'idea di accompagnarmi in questa esperienza, una email con Remo, col quale non bisogna certo insistere quando si tratta di faticare, un caffè in ufficio con il mio amico e collega Sergino..Il gruppo è fatto,saremo alla partenza di Breil per partecipare a "les Cimes du Mercantour", 114km + 3100m di dislivello(i 110km x2900m di dislivelllo calcolati e dichiarati su carta all'inizio, sono stati sbugiardati sul campo).

Puntuali come non mai, ore 8:30 siamo in sella, pronti alla sfida..So benissimo, anche se faccio finta fino all'ultimo di non saperlo, che sarà una Domenica molto faticosa, non è il mio sport, non sono le mie distanze, queste cose non si inventano, ma forse il bello è proprio quello..
Al via, rigorosamente in salita, ci sono pluricampioni del mondo che vantano più di una medaglia d'oro alle olimpiadi(seppur in Mtb), professionisti dell'asfalto,forti ciclisti locali,triatleti, cicloturisti, giovani e meno giovani..fantastico.
E' il Col de Bruis a darci il benvenuto, scorre via veloce, più di quanto avessimo previsto..Remo e Guillaume son già avanti, hanno da subito una marcia in più, io so che per le prime ore non potrò sprecare energie preziose.
Si scende a Sospel, loro mi aspettano, ci ricompattiamo..Col de Castillon e "bretella" ci vedono in un bel gruppetto, il ritmo è molto buono,Remo scalpita e allunga, oggi la gamba monumentale è la sua..si scende e si risale subito, per quella che sarà la prime delle due ascese al Col de Braus..in cima il copione si ripete, Remo ci aspetta al rifornimento, riempiamo le borracce e si riparte..lunga discesa,si scherza e si ride, la giornata è fantastica, ci stiamo divertendo, stiamo tutti e tre molto bene;improvvisamente uno dei tanti e bravissimi volontari lungo il percorso ci fa svoltare a destra.Arriviamo nel piccolo e caratteristico paesino di Luceram, facciamo finta di non saperlo, ma stiamo attaccando l'asperità più lunga e faticosa della giornata..sono circa 17km di salita continua di cui gli ultimi 5km al limite del ribaltamento.
Attacco cauto, Remo incontenibile allunga, dopo qualche km Guillaume mi dice che proverà ad aumentare un po' il ritmo per fermarsi al rifornimento posto ai -5km dalla vetta dove ad attenderci, c'è suo fratello.
Prende qualche centinaio di metri di vantaggio, resto solo con la salita, siamo io e lei, ad ogni pedalata le chiedo il permesso di percorrerla, lei me lo concede, alterna tornanti a piccoli rettilinei,premiandomi di volta in volta con scorci di panorama mozzafiato. Salgo molto bene,al rifornimento Remo ci aspetta, Guillaume ed io arriviamo poco distanti, non voglio fermarmi, ho un bel ritmo, ma loro, e per questo li ringrazio, insistono..Borraccia, pezzo d'arancia e si riparte.
Attacchiamo gli ultimi terribili 5km. La velocità di crociera è a cavallo dei 9-10km/h,il silenzio ha il sopravvento su di noi, non è un bel segno, Remo e il suo durissimo 39/23, Guillaume con il suo 30/?, io col mio fido 39/27..tre fisici diversi, tre livelli lontani,tre pedalate nemmeno parenti..la stessa velocità, la stessa fatica..
In cima si esulta,ma non è finita..si scende per un po',poco, discesa moto brutta e rovinata, è la prima discesa che non è sufficente a farmi recuperare le gambe. Si torna a salire, 4km del col le l'Olme che ci porteranno per la seconda volta sulla cima del Col de Braus..la fatica inizia davvero a farsi sentire.
Altra sosta; dei volontari ci riempono le borracce e ci incoraggiano, ci resta "solo" una lunga discesa verso Sospel e l'ultima ascesa, il Col de Bruis che ci riporterà a Breil, per il meritato traguardo.
Torniamo a ridere e scherzare, perchè in fondo stiamo bene, siamo stanchi ma felici e consapevoli di aver fatto un' ottima gara,rispettosi verso l'ultimo colle, ma certi che i suoi 10km con il naso verso il cielo sono nellle nostre corde.
A Sospel c'è Mario, il mitico Mario del Bar, che a me e Remo aveva promesso di venire a vederci passare; un grande, promessa mantenuta. Ci incita, ci conta 50esimi, gli urliamo di salire con noi.
Si inizia l'ascesa,scocca la quarta ora di gara, qualcuno mi tocca l'esterno della gamba destra e dopo poco anche della gamba sinistra..non faccio in tempo ad accorgermi che in realtà non c'è nessuno a puntarmi un dito alla coscia, che i crampi mi asssalgono.
Dolore fortissimo,rimango spiazzato, gambe inchiodate, riesco per miracolo a scendere dalla bici..Interno esterno, parte alta e bassa della coscia..è come se mi ci avessero attaccato degli elettrodi e dato una scossa fortissima di corrente..I miei amici si fermano, provo ad allungare i muscoli e a ripartire, arriva Mario..
Poche centinaia di metri e la cosa si ripete, poi ancora e ancora..
Ringrazio Remo e Guillaume, ma loro devono salire, devono andare a conquistarsi quel traguardo meritato..io in qualche modo, non so bene come, ma arriverò!
Mario resta con me,lo farà per tutta la salita, dandomi la sua acqua, incitandomi a non mollare.
In uno dei pochi momenti in sella, incontro a bordo strada un altro concorrente nelle mie stesse condizioni; pochi secondi dopo saremo a ruoli invertiti. Lui mi urla di picchiarmi le gambe, forte, fa male ma funziona dice.
Inizio a farlo, me le suono di santa ragione, picchio al ritmo di una pedalata/uno schiaffo, quelle gambe alle quali tanto avevo chiesto e tanto mi avevano dato, abbandonandomi proprio sul più bello.Passa l'auto del medico di corsa, mi dice di lasciar perdere, i crampi a quell'ora con quel caldo, su quella salita, non mi abbandoneranno di certo, devo ritirarmi. Non ci penso minimamente, lo ringrazio e gli do' appuntamento al traguardo.

..è circa l'una del pomeriggio,a Sospel fa caldo. Nel giro di pochi istanti,il mio stato d'animo precipita.. Gioia, convinzione e ottimismo sono stati spazzati via in pochi secondi,ora si alternano impotenza e speranza, delusione e gioia, rabbia incertezza, paura..Al mio fianco, un Amico..e la certezza che non mi arrenderò!

All'ultimo interminabile tornante del Bruis, Mario mi urla come se avessi vinto il Campionato del Mondo, ho le lacrime agli occhi, dal dolore, dalla gioia..Mi alzo sui pedali e sfido i crampi scatttando sull'ultimo strappo, i volontari non capiscono; saranno 10km di gioia in discesa fino a Breil..

..difficilmente dimenticherò quel traguardo dove ad aspettarmi c'erano i miei amici..
..difficilmente, senza l'impresa nell'impresa, quel traguardo avrebbe avuto lo stesso sapore..
..difficilmente senza Remo, Guillaume e Mario,avrei potuto assaporarlo..
..difficilmente dimenticherò la faccia di Romina quando alla sera nel massaggiarmi le gambe vede gli ematomi che mi ero procurato a forza di picchiarmele.

Sportivi, gente strana..

mercoledì 10 giugno 2009

UN CINGHIALE NELLE NEBBIA......

Neander-Trail 2009

Questo è il mio quarto trail di oltre 50 km. Il terzo Neander. Ormai si tratta di una dipendenza, come dice il grande Marco Olmo.
Ma ho paura.
Non ci si abitua alle grandi sofferenze, so che sarà dura e non posso dare nulla per scontato.
Nel mio piccolo sono più allenato e per questo chiederò di più al mio corpo. Voglio essere più veloce, più performante. Voglio riprovare tutte quelle emozioni che solo l’estremo della montagna, da solo, di notte, per così tanti km, mi può dare. Ma non sarà un regalo, dovrò conquistarmi tutto, dando tutto me stesso. E poi a volte la montagna non ti lascia passare, non ti permette di vedere, dall’alto, l’alba sul mare.
Quest’anno il mio amico Jeff non correrà con me, decide comunque di accompagnarmi alla partenza.
Ci troviamo alla plage Parquet di Cap d’Ail. Sul mare c’è un bel Ponente con onde formate, i ragazzini fanno body-board.
Il gonfiabile del traguardo è pronto e il grosso cronometro segna 00:000. Se arriverò, domani mattina, migliaia di secondi saranno passati, un’intera lunghissima notte.
Partiamo in macchina e chiacchieriamo del più e del meno. Jeff invidia la tensione scritta sul mio volto, io la sua voglia di scherzare.
Arrivati a Camp d’Argent sul Turini ci sono già tutti. Il solito rifugio con il camino acceso, la coda per ritirare i pettorali e per andare al cesso. Le solite facce: 160 folli pronti a dare l’anima in mezzo alle montagne.
Salendo con la macchina, tra Sospel e la partenza, abbiamo attraversato una zona di fitta nebbia, sarà un casino riconoscere il percorso. Fa freddo, ma meno dell’anno scorso e almeno non piove… All’ultimo gli organizzatori hanno dovuto cambiare un pezzo del percorso d’alta montagna, sul Mangiabò, a causa di una frana. Correndo in cresta, fuori dai sentieri segnati, ci dicono di stare attenti a non perderci nella nebbia e consigliano di stare in gruppo con chi ha una bussola e sa usarla.
Non voglio pensarci.
Alla partenza incontro Franco Lupi e Paolo Picone, decidiamo di correre insieme.
Come ogni anno ci ammassiamo tutti e tutti e 160 scandiamo il conto alla rovescia gridando in modo liberatorio. Via! Partiti! I primi 100 metri come fosse un diecimila, ma ci calmiamo subito. Il percorso ci porta sulla risalita di una pista da sci, il dislivello è notevole, dai 1700mt ai 2100mt di altitudine. In pochi minuti i più forti spariscono correndo in salita e il gruppone si sfalda in diversi tronconi. I bastoncini servono subito e mi accorgo che manteniamo un buon passo costante. Mi sento bene, nessun problema per l’altitudine. In cresta cominciamo a correre, dopo alcuni minuti guardo il Garmin e mi accorgo che andiamo a 5min per km, il cuore è stabile sui 145. Grido comunque a Paolo che forse stiamo tirando un po’ troppo. Io so cosa ci aspetta, lui fa finta di non sentirmi, non lo mollo, le gambe stanno bene e poi siamo in gruppo di italiani che tira bene, compatti.
Dopo più o meno un’ora e mezza siamo in cima al Mangiabò, qui è dove hanno dovuto cambiare il percorso e infatti non riconosco più nulla. Si accendono le torce frontali, ma c’è nebbia e la luce si riflette di fronte a noi in modo irreale. Franco si ferma per allacciarsi le scarpe, lo perdo. Poi Paolo allunga in una salita e non lo vedo più.
Lentamente intorno a me è silenzio, notte e nebbia. Ogni tanto violente raffiche di vento mi investono. Spero di uscire da lì rapidamente. Mi concentro sul ritmo e sulle balises, le banderuole catarifrangenti che ci permettono di seguire il percorso, ma sto correndo da troppo in mezzo al nulla e di balises neppure l’ombra. Rallento, arrivo in cima a una salita, mi fermo. Il cuore batte forte, lo sento in gola. I miei occhi si fanno spilli e cercano, cercano nel nulla. Poi all’improvviso uno scenario assurdo si delinea intorno a me: dai quattro punti cardinali e dalla nebbia, si materializzano decine di lampade frontali, come enormi lucciole parlanti, anzi, imprecanti… Rapidamente capisco cosa è successo, siamo persi. Diversi gruppi, dai più forti fino a metà del plotone, non trovano più il sentiero, nessuna traccia di balises, e da una decina di minuti stiamo girando in tondo. Una sensazione di ansia pesante, preludio al panico, mi opprime. Essendomi fermato sento subito freddo, sono sudato e so che a quella altitudine e in quelle condizioni non si può resistere per molto. Come psicologo percepisco inoltre la tensione intorno a me, siamo un centinaio e questo non mi rassicura. Ci muoviamo alla cieca, ognuno dice la sua, qualcuno si fa prendere dal panico e si lancia a capofitto in discesa, verso un presunto miraggio del Sud. Cerco di restare calmo. A un certo punto la mia lampada illumina un volto familiare, anche se stravolto. È Paolo, sudato come se stesse correndo la Marathon des Sables, gli occhi stralunati mi racconta che è sceso e risalito più volte da un costone senza trovare balises. Insieme seguiamo un gruppo di italiani capitanati da un certo Nando, sosia di Olmo nella nebbia a causa di una barba bianca che da sola mi ispira fiducia. Torniamo sui nostri passi all’ultima balise e da li ci muoviamo scientificamente proseguendo più volte per 1 km in varie direzioni. Alla fine la strategia paga e ritroviamo il percorso. Siamo sollevati, ma anche estremamente incazzati, abbiamo perso più o meno un’ora, un’eternità. Qualche stronzo in testa si è divertito a togliere le balises e gettarle nei burroni, che sportivo!
La tensione, la paura e il freddo ci hanno fatto bruciare energie preziose, ma la rabbia ci fa correre. Siamo rientrati in gara.
Finalmente comincia la discesa verso Sospel, il mio punto forte e comincio ad accelerare. Paolo invece soffre per le scarpe non adatte, scivola spesso e mi dice di passare avanti. Non me lo faccio ripetere, ho voglia di correre, mi sento bene mentre attraverso il bosco nero. Il Garmin segna il ventesimo km di gara.
Arrivo in fondo alla discesa e passo sul vecchio ponte in pietra di Sospel, mi sento leggero, liberato. Entro nel paese e corro verso il punto di ristoro, consapevole di aver conquistato una tappa importante, difficilissima in termini di stress e concentrazione mentale. Qualcuno di fronte a me grida: “E’ Yann, arriva!” e poi un applauso. Non credo ai miei occhi, sono loro… ci speravo tanto… ho i brividi e un sorriso immenso li abbraccia tutti e tre: il Borfo, Claudio e Dani sono venuti per me, per vedermi passare, ci hanno creduto e non li ho delusi. In quel momento il mio sentimento per loro è profonda gratitudine, mi hanno pensato, aspettato e ora si occupano di me. Il Borfo mi offre subito un fondo di birra, è buonissima, Claudio mi fa sedere, mentre Dani mi riempie la borraccia e mi prende della coca-cola. Io non sto nella pelle. Mi rassicurano dicendomi che mi vedono in forma, che atleti più veloci di me sono passati con facce stremate. Io non smetto di sorridere, ma chiedo a Dani di contare 10 minuti, non un secondo di più. E passano troppo in fretta, è già tempo di ripartire e devo farmi violenza per abbandonare quei volti amici, quegli occhi caldi e soddisfatti, capaci di capire cosa sto facendo, di trovarne il senso e condividerlo con me, senza dover spiegare nulla.
Mi aspetta la prima salita selettiva, il Col de Castillon, da 350 a 795 mt di altitudine, 4 km al 20% di pendenza. Li saluto e parto. Mentre mi arrampico mi rendo conto di essermi nutrito poco e male, e il cronometro mi dice che sono già 4 ore che corro. Ho la nausea e i brividi, la salita mi sfianca. Non riesco più a spingere e in un attimo tutto vacilla, mi sento svuotato, disorientato. Comincio a fare pensieri strani, tutto perde senso: “Perché sto correndo? Stavo così bene a Sospel con i miei amici, perché non mi sono fermato? Cosa devo provare ancora? E a chi?” Ho voglia di fermarmi, di tornare indietro, ma loro non ci saranno più. Il cuore batte forte in salita e i polmoni mi spaccano il petto, le gambe si fanno dure e pesanti. Sono solo a metà gara e non ce la farò mai ad arrivare in fondo. Mi rendo conto che sto vivendo una crisi profonda e irreversibile, almeno questa è la mia analisi. Mi devo ritirare, loro capiranno, può succedere a tutti, devo aver spinto troppo nella prima parte e non ho integrato abbastanza cibo.
A quel punto vedo una torcia scendere nella mia direzione e sento imprecare in italiano. Incrocio Nando che abbandona, torna giù a Sospel, non ce la fa più: proprio lui che ci ha tirati fuori dalla quella merda sul Mangiabò. Ci guardiamo, ma non ci diciamo nulla. Io sto ancora salendo, ma per quanto? Sono tentato di seguirlo, se non ce la fa lui… poi una voce lontana, fievole, mi dice: ”Dai! Sei arrivato a metà salita, vai avanti, un passo dopo l’altro, ti puoi fermare al col des Banquettes”. Ma mancano ancora almeno 10 km…
E un passo dopo l’altro arrivo finalmente in cima, sono lentissimo, ma ho conquistato il colle. Ho sempre la nausea e non riesco a masticare queste stupide barrette, sogno un brodo caldo con pastina che so poter trovare al prossimo rifornimento, dove, ne sono certo, abbandonerò.
Scendo lungo una pietraia infernale e arrivo su uno stradone sterrato, una porzione fantastica per allungare e correre per 6 km, ma li uso tutti per combattere contro la depressione, a passo di marcia.
Finalmente arrivo al secondo punto di ristoro, ai piedi del Terribile, il Dio Boudon.
Provate a a salire sulla sua cima una domenica mattina con la vostra ragazza, se siete allenati ci metterete forse meno di un’ora e da lassù dominerete un paesaggio mozzafiato: a Nord le Alpi Marittime e a Sud il mare infinito. Ma guardatelo di notte, dopo 34 km di corsa, svuotati di tutte le vostre energie e avrete voglia di piangere, non oserete neppure alzare lo sguardo.
Allontano il pensiero ossessivo dell’abbandono concentrandomi sul cibo e mi faccio servire quel fantastico brodo di spaghetti francesi stracotti. È cibo caldo, vero, è la cosa più buona che abbia mai assaggiato. Me ne sto seduto tranquillo a godermi la mia cena, poi mi giro e, sorpresa, vedo arrivare Paolo Picone. A Sospel, rispetto a me, aveva un ritardo di mezz’ora, la discesa lo aveva provato, ma in salita è riuscito a tenere bene e ha recuperato tutto il distacco, complice anche la mia crisi. Anche lui comunque è sconvolto, ma è fortunato, non sa cosa lo attende. Mi rendo conto che possiamo essere complementari e, forse, insieme andare avanti. Decido di aspettarlo e lo obbligo a mangiare il brodo di spaghetti.
Ripartiamo insieme, lui davanti. Non guardiamo su, ma solo di fronte a noi, la salita. Attacchiamo il Boudon! Magicamente ritrovo energie inaspettate, sono sconvolto dalle potenzialità del corpo e dalla mente umane. Poco prima ero finito, svuotato e ora mi ritrovo ad arrampicarmi per 3 km al 20% chiacchierando e scherzando con Paolo.
Stiamo bene, la salita è durissima, ma la conosco perfettamente e la descrivo al mio compagno, che evita sapientemente di guardare in giù, nel burrone, mentre in alcuni passaggi appoggiamo le mani sulle rocce per salire. Paolo la vive come un’iniziazione infinita, eppure non cede il passo e impone un ritmo notevole.
Conquistata la vetta ci sentiamo gli eroi di quella notte e ci godiamo per alcuni secondi il paesaggio notturno.
E ora giù, per la discesa più tecnica e pericolosa della gara. Nelle gambe tanti, troppi km. Dalle ginocchia ai glutei ogni muscolo e ogni articolazione chiede pietà.
Ora sono io ad aprire la strada, i bastoncini puntati in avanti.
Arriviamo in fondo, poi ancora una “piccola” ma terribile salita e ci ritroviamo alle mitiche antenne: a destra la città di Nizza, silenziosa e illuminata come un albero di Natale, più in là l’aeroporto e il mare. Di fronte a noi una bellissima luna piena che rischiara il nostro sentiero.
Il più è fatto, ora non resta che resistere.
Nel frattempo ci raggiunge Gianni, un esperto trailer, al suo attivo 8 Cromagnon, un Faudo e diversi trail in Nepal e sul Monte Bianco. Non è riuscito a mangiare nulla dalla partenza, vomitando al quarto km, ma è riuscito a tenere duro e ora ci intrattiene con i racconti delle sue corse, mentre noi, ammirati, gli chiediamo come si fa a correrne 100, di km. Naturalmente rimarrà un mistero, a noi scoprirlo.
Chiacchierando e provando ad ignorare i dolori, arriviamo al Mont Agel, al golf e lì, assurdamente, riprendiamo a correre, ma fa male.
Finalmente alla Turbie, l’ultimo punto di ristoro, manca ancora un’ora di corsa e si fanno i conti. Abbiamo perso un sacco di tempo nella nebbia sul Mangiabò e poi la crisi sul Castillon. Mi rendo subito conto che non riuscirò a battere il tempo dell’anno scorso.
Sono comunque contento, perché ora ho la certezza che riusciremo ad arrivare in fondo, che ho superato me stesso recuperando una crisi devastante e che anche per questo anno la montagna mi ha lasciato passare.
Sono profondamente grato al mio corpo, alla mia forza mentale e alla Natura per avermi permesso di vivere queste bellissime emozioni.
So anche che non sarà l’ultima volta.
Ho voglia di correre, ho ancora energie, ma Paolo e Gianni no.
Paolo se ne accorge e scherzando mi dice: “ Se ne hai, vai!”. Io lo guardo e sorrido. Dobbiamo arrivare insieme, abbiamo condiviso troppo questa notte e guadagnare 20 minuti correndo non avrebbe proprio senso.
Ci godiamo il giro intorno alla Tête de Chien, Monaco vista dall’alto e una nave che, lenta, entra nel porto.
Dietro l’ultima curva li costringo a correre verso l’arrivo.
Sono felice.
Il cronometro segna 10 ore e 52 minuti.

giovedì 4 giugno 2009

Senza Tante Parole.....





Siamo sulla strada buona.













Ancora no!










Km 0: Non ci Siamo!














Km 4: Si comincia a ragionare!














Km 9: Obbiettivo raggiunto: seria ipoteca al premio San Gennaro.










Video Della Gara: http://www.youtube.com/watch?v=aE-or04zEZg

Altre Foto: http://picasaweb.google.it/paolo.borfiga/Xterra2009?feat=directlink