mercoledì 10 giugno 2009

UN CINGHIALE NELLE NEBBIA......

Neander-Trail 2009

Questo è il mio quarto trail di oltre 50 km. Il terzo Neander. Ormai si tratta di una dipendenza, come dice il grande Marco Olmo.
Ma ho paura.
Non ci si abitua alle grandi sofferenze, so che sarà dura e non posso dare nulla per scontato.
Nel mio piccolo sono più allenato e per questo chiederò di più al mio corpo. Voglio essere più veloce, più performante. Voglio riprovare tutte quelle emozioni che solo l’estremo della montagna, da solo, di notte, per così tanti km, mi può dare. Ma non sarà un regalo, dovrò conquistarmi tutto, dando tutto me stesso. E poi a volte la montagna non ti lascia passare, non ti permette di vedere, dall’alto, l’alba sul mare.
Quest’anno il mio amico Jeff non correrà con me, decide comunque di accompagnarmi alla partenza.
Ci troviamo alla plage Parquet di Cap d’Ail. Sul mare c’è un bel Ponente con onde formate, i ragazzini fanno body-board.
Il gonfiabile del traguardo è pronto e il grosso cronometro segna 00:000. Se arriverò, domani mattina, migliaia di secondi saranno passati, un’intera lunghissima notte.
Partiamo in macchina e chiacchieriamo del più e del meno. Jeff invidia la tensione scritta sul mio volto, io la sua voglia di scherzare.
Arrivati a Camp d’Argent sul Turini ci sono già tutti. Il solito rifugio con il camino acceso, la coda per ritirare i pettorali e per andare al cesso. Le solite facce: 160 folli pronti a dare l’anima in mezzo alle montagne.
Salendo con la macchina, tra Sospel e la partenza, abbiamo attraversato una zona di fitta nebbia, sarà un casino riconoscere il percorso. Fa freddo, ma meno dell’anno scorso e almeno non piove… All’ultimo gli organizzatori hanno dovuto cambiare un pezzo del percorso d’alta montagna, sul Mangiabò, a causa di una frana. Correndo in cresta, fuori dai sentieri segnati, ci dicono di stare attenti a non perderci nella nebbia e consigliano di stare in gruppo con chi ha una bussola e sa usarla.
Non voglio pensarci.
Alla partenza incontro Franco Lupi e Paolo Picone, decidiamo di correre insieme.
Come ogni anno ci ammassiamo tutti e tutti e 160 scandiamo il conto alla rovescia gridando in modo liberatorio. Via! Partiti! I primi 100 metri come fosse un diecimila, ma ci calmiamo subito. Il percorso ci porta sulla risalita di una pista da sci, il dislivello è notevole, dai 1700mt ai 2100mt di altitudine. In pochi minuti i più forti spariscono correndo in salita e il gruppone si sfalda in diversi tronconi. I bastoncini servono subito e mi accorgo che manteniamo un buon passo costante. Mi sento bene, nessun problema per l’altitudine. In cresta cominciamo a correre, dopo alcuni minuti guardo il Garmin e mi accorgo che andiamo a 5min per km, il cuore è stabile sui 145. Grido comunque a Paolo che forse stiamo tirando un po’ troppo. Io so cosa ci aspetta, lui fa finta di non sentirmi, non lo mollo, le gambe stanno bene e poi siamo in gruppo di italiani che tira bene, compatti.
Dopo più o meno un’ora e mezza siamo in cima al Mangiabò, qui è dove hanno dovuto cambiare il percorso e infatti non riconosco più nulla. Si accendono le torce frontali, ma c’è nebbia e la luce si riflette di fronte a noi in modo irreale. Franco si ferma per allacciarsi le scarpe, lo perdo. Poi Paolo allunga in una salita e non lo vedo più.
Lentamente intorno a me è silenzio, notte e nebbia. Ogni tanto violente raffiche di vento mi investono. Spero di uscire da lì rapidamente. Mi concentro sul ritmo e sulle balises, le banderuole catarifrangenti che ci permettono di seguire il percorso, ma sto correndo da troppo in mezzo al nulla e di balises neppure l’ombra. Rallento, arrivo in cima a una salita, mi fermo. Il cuore batte forte, lo sento in gola. I miei occhi si fanno spilli e cercano, cercano nel nulla. Poi all’improvviso uno scenario assurdo si delinea intorno a me: dai quattro punti cardinali e dalla nebbia, si materializzano decine di lampade frontali, come enormi lucciole parlanti, anzi, imprecanti… Rapidamente capisco cosa è successo, siamo persi. Diversi gruppi, dai più forti fino a metà del plotone, non trovano più il sentiero, nessuna traccia di balises, e da una decina di minuti stiamo girando in tondo. Una sensazione di ansia pesante, preludio al panico, mi opprime. Essendomi fermato sento subito freddo, sono sudato e so che a quella altitudine e in quelle condizioni non si può resistere per molto. Come psicologo percepisco inoltre la tensione intorno a me, siamo un centinaio e questo non mi rassicura. Ci muoviamo alla cieca, ognuno dice la sua, qualcuno si fa prendere dal panico e si lancia a capofitto in discesa, verso un presunto miraggio del Sud. Cerco di restare calmo. A un certo punto la mia lampada illumina un volto familiare, anche se stravolto. È Paolo, sudato come se stesse correndo la Marathon des Sables, gli occhi stralunati mi racconta che è sceso e risalito più volte da un costone senza trovare balises. Insieme seguiamo un gruppo di italiani capitanati da un certo Nando, sosia di Olmo nella nebbia a causa di una barba bianca che da sola mi ispira fiducia. Torniamo sui nostri passi all’ultima balise e da li ci muoviamo scientificamente proseguendo più volte per 1 km in varie direzioni. Alla fine la strategia paga e ritroviamo il percorso. Siamo sollevati, ma anche estremamente incazzati, abbiamo perso più o meno un’ora, un’eternità. Qualche stronzo in testa si è divertito a togliere le balises e gettarle nei burroni, che sportivo!
La tensione, la paura e il freddo ci hanno fatto bruciare energie preziose, ma la rabbia ci fa correre. Siamo rientrati in gara.
Finalmente comincia la discesa verso Sospel, il mio punto forte e comincio ad accelerare. Paolo invece soffre per le scarpe non adatte, scivola spesso e mi dice di passare avanti. Non me lo faccio ripetere, ho voglia di correre, mi sento bene mentre attraverso il bosco nero. Il Garmin segna il ventesimo km di gara.
Arrivo in fondo alla discesa e passo sul vecchio ponte in pietra di Sospel, mi sento leggero, liberato. Entro nel paese e corro verso il punto di ristoro, consapevole di aver conquistato una tappa importante, difficilissima in termini di stress e concentrazione mentale. Qualcuno di fronte a me grida: “E’ Yann, arriva!” e poi un applauso. Non credo ai miei occhi, sono loro… ci speravo tanto… ho i brividi e un sorriso immenso li abbraccia tutti e tre: il Borfo, Claudio e Dani sono venuti per me, per vedermi passare, ci hanno creduto e non li ho delusi. In quel momento il mio sentimento per loro è profonda gratitudine, mi hanno pensato, aspettato e ora si occupano di me. Il Borfo mi offre subito un fondo di birra, è buonissima, Claudio mi fa sedere, mentre Dani mi riempie la borraccia e mi prende della coca-cola. Io non sto nella pelle. Mi rassicurano dicendomi che mi vedono in forma, che atleti più veloci di me sono passati con facce stremate. Io non smetto di sorridere, ma chiedo a Dani di contare 10 minuti, non un secondo di più. E passano troppo in fretta, è già tempo di ripartire e devo farmi violenza per abbandonare quei volti amici, quegli occhi caldi e soddisfatti, capaci di capire cosa sto facendo, di trovarne il senso e condividerlo con me, senza dover spiegare nulla.
Mi aspetta la prima salita selettiva, il Col de Castillon, da 350 a 795 mt di altitudine, 4 km al 20% di pendenza. Li saluto e parto. Mentre mi arrampico mi rendo conto di essermi nutrito poco e male, e il cronometro mi dice che sono già 4 ore che corro. Ho la nausea e i brividi, la salita mi sfianca. Non riesco più a spingere e in un attimo tutto vacilla, mi sento svuotato, disorientato. Comincio a fare pensieri strani, tutto perde senso: “Perché sto correndo? Stavo così bene a Sospel con i miei amici, perché non mi sono fermato? Cosa devo provare ancora? E a chi?” Ho voglia di fermarmi, di tornare indietro, ma loro non ci saranno più. Il cuore batte forte in salita e i polmoni mi spaccano il petto, le gambe si fanno dure e pesanti. Sono solo a metà gara e non ce la farò mai ad arrivare in fondo. Mi rendo conto che sto vivendo una crisi profonda e irreversibile, almeno questa è la mia analisi. Mi devo ritirare, loro capiranno, può succedere a tutti, devo aver spinto troppo nella prima parte e non ho integrato abbastanza cibo.
A quel punto vedo una torcia scendere nella mia direzione e sento imprecare in italiano. Incrocio Nando che abbandona, torna giù a Sospel, non ce la fa più: proprio lui che ci ha tirati fuori dalla quella merda sul Mangiabò. Ci guardiamo, ma non ci diciamo nulla. Io sto ancora salendo, ma per quanto? Sono tentato di seguirlo, se non ce la fa lui… poi una voce lontana, fievole, mi dice: ”Dai! Sei arrivato a metà salita, vai avanti, un passo dopo l’altro, ti puoi fermare al col des Banquettes”. Ma mancano ancora almeno 10 km…
E un passo dopo l’altro arrivo finalmente in cima, sono lentissimo, ma ho conquistato il colle. Ho sempre la nausea e non riesco a masticare queste stupide barrette, sogno un brodo caldo con pastina che so poter trovare al prossimo rifornimento, dove, ne sono certo, abbandonerò.
Scendo lungo una pietraia infernale e arrivo su uno stradone sterrato, una porzione fantastica per allungare e correre per 6 km, ma li uso tutti per combattere contro la depressione, a passo di marcia.
Finalmente arrivo al secondo punto di ristoro, ai piedi del Terribile, il Dio Boudon.
Provate a a salire sulla sua cima una domenica mattina con la vostra ragazza, se siete allenati ci metterete forse meno di un’ora e da lassù dominerete un paesaggio mozzafiato: a Nord le Alpi Marittime e a Sud il mare infinito. Ma guardatelo di notte, dopo 34 km di corsa, svuotati di tutte le vostre energie e avrete voglia di piangere, non oserete neppure alzare lo sguardo.
Allontano il pensiero ossessivo dell’abbandono concentrandomi sul cibo e mi faccio servire quel fantastico brodo di spaghetti francesi stracotti. È cibo caldo, vero, è la cosa più buona che abbia mai assaggiato. Me ne sto seduto tranquillo a godermi la mia cena, poi mi giro e, sorpresa, vedo arrivare Paolo Picone. A Sospel, rispetto a me, aveva un ritardo di mezz’ora, la discesa lo aveva provato, ma in salita è riuscito a tenere bene e ha recuperato tutto il distacco, complice anche la mia crisi. Anche lui comunque è sconvolto, ma è fortunato, non sa cosa lo attende. Mi rendo conto che possiamo essere complementari e, forse, insieme andare avanti. Decido di aspettarlo e lo obbligo a mangiare il brodo di spaghetti.
Ripartiamo insieme, lui davanti. Non guardiamo su, ma solo di fronte a noi, la salita. Attacchiamo il Boudon! Magicamente ritrovo energie inaspettate, sono sconvolto dalle potenzialità del corpo e dalla mente umane. Poco prima ero finito, svuotato e ora mi ritrovo ad arrampicarmi per 3 km al 20% chiacchierando e scherzando con Paolo.
Stiamo bene, la salita è durissima, ma la conosco perfettamente e la descrivo al mio compagno, che evita sapientemente di guardare in giù, nel burrone, mentre in alcuni passaggi appoggiamo le mani sulle rocce per salire. Paolo la vive come un’iniziazione infinita, eppure non cede il passo e impone un ritmo notevole.
Conquistata la vetta ci sentiamo gli eroi di quella notte e ci godiamo per alcuni secondi il paesaggio notturno.
E ora giù, per la discesa più tecnica e pericolosa della gara. Nelle gambe tanti, troppi km. Dalle ginocchia ai glutei ogni muscolo e ogni articolazione chiede pietà.
Ora sono io ad aprire la strada, i bastoncini puntati in avanti.
Arriviamo in fondo, poi ancora una “piccola” ma terribile salita e ci ritroviamo alle mitiche antenne: a destra la città di Nizza, silenziosa e illuminata come un albero di Natale, più in là l’aeroporto e il mare. Di fronte a noi una bellissima luna piena che rischiara il nostro sentiero.
Il più è fatto, ora non resta che resistere.
Nel frattempo ci raggiunge Gianni, un esperto trailer, al suo attivo 8 Cromagnon, un Faudo e diversi trail in Nepal e sul Monte Bianco. Non è riuscito a mangiare nulla dalla partenza, vomitando al quarto km, ma è riuscito a tenere duro e ora ci intrattiene con i racconti delle sue corse, mentre noi, ammirati, gli chiediamo come si fa a correrne 100, di km. Naturalmente rimarrà un mistero, a noi scoprirlo.
Chiacchierando e provando ad ignorare i dolori, arriviamo al Mont Agel, al golf e lì, assurdamente, riprendiamo a correre, ma fa male.
Finalmente alla Turbie, l’ultimo punto di ristoro, manca ancora un’ora di corsa e si fanno i conti. Abbiamo perso un sacco di tempo nella nebbia sul Mangiabò e poi la crisi sul Castillon. Mi rendo subito conto che non riuscirò a battere il tempo dell’anno scorso.
Sono comunque contento, perché ora ho la certezza che riusciremo ad arrivare in fondo, che ho superato me stesso recuperando una crisi devastante e che anche per questo anno la montagna mi ha lasciato passare.
Sono profondamente grato al mio corpo, alla mia forza mentale e alla Natura per avermi permesso di vivere queste bellissime emozioni.
So anche che non sarà l’ultima volta.
Ho voglia di correre, ho ancora energie, ma Paolo e Gianni no.
Paolo se ne accorge e scherzando mi dice: “ Se ne hai, vai!”. Io lo guardo e sorrido. Dobbiamo arrivare insieme, abbiamo condiviso troppo questa notte e guadagnare 20 minuti correndo non avrebbe proprio senso.
Ci godiamo il giro intorno alla Tête de Chien, Monaco vista dall’alto e una nave che, lenta, entra nel porto.
Dietro l’ultima curva li costringo a correre verso l’arrivo.
Sono felice.
Il cronometro segna 10 ore e 52 minuti.

3 commenti:

Andamentolento ha detto...

Stessa Gara ma vista con gli occhi di chi ha concluso in 13h 53' :
E' il mio primo Trail vero e proprio, ho fatto solo quello del Monte di Portofino e ne ho uno splendido ricordo, mi rendo conto subito che qui sara' un'altra cosa. Gia’ al mattino ,chinandomi a casa, mi è partito il “colpo della strega” Paolo mi guarda camminare a Montecarlo e scuote la testa sorridendo,sembro un gancetto. Alla partenza accendo il GPS e si fulmina… mi sono dimenticato di leggere l’Oroscopo!!! Parto sereno con Paolo e Yann ma al 9°Km parte la borsite al piede sinistro… ora il quadro è completo,corro storto alterando tutti gli equilibri ma va bene cosi’, si arriva insieme fino alla frana... da li per me il caos! Mi perdo, sento le voci degli altri che mi chiamano ma non li trovo e sbaglio strada,salgo,scendo,perdo tempo ed energie,risalgo la frana a 4 zampe e ritrovo le balisse corrette, ripart con 2 francesi ed un padovano che sta affrontando il suo primo trail con scarponcini da passeggiata, guanti da lavoro, pila a mano e bottiglia di ferrarelle in uno zainetto...
Poco dopo,in cima al colle sbagliamo strada ed iniziamo a discendere da tutt'altra parte rispetto al percorso... la cosa succedera' ancora 2 volte..ad un certo punto sono solo, non vedo a 1 metro da me per la nebbia,ho freddo e alcuni conati di vomito,inizio a sentire il panico salire,penso di telefonare al numero di soccorso... e qui realizzo:ma allora io sono solo "chiacchere e distintivo"! Allora basta "poco" per "smontarmi"... sono tutto qui?
Metto via il cellulare e cerco la balisse,la trovo e riparto.
Improvvisamente è tutto diverso " sento" il bosco,la montagna, il Tutto. Alterno il camminare con una corsetta leggera, purtroppo la borsite sotto il piede sinistro è ripartita in tutto il suo "splendore" e mi fa camminare storto. Inciampo e cado piu' volte, improvvisamente penso alle cadute della Via Crucis e mi viene da ridere :stanno iniziando le crisi mistiche?
Gli amici che ho perso sono passati a Sospel alle 11.30 io ci arrivo alle 01.15!! Uno dell'organizzazione mi chiede se voglio ritirarmi,per un attimo ci penso,poi dico no secco e mi riempio la bucca di uvetta prima di ripartire.
Il resto è un viaggio da entronauta,senza il GPS non posso calcolare lo scorrere del tempo.Meglio. Provo mille sensazioni ma soprattutto vivo un "Qui ed Ora" da perfetta Scuola Zen. All'alba sulla salita del Boundon sono arrabbiato,penso all'ora e mezza persa per quelle Balisse non trovate,ne parlo con un altro concorrente.Mi guarda allegro e mi chiede :" Scusa ma che ti cambia nella vita quest'ora e mezza?" Sono troppo stanco per ridere,pero' dentro di me rido di cuore... e mi libero di un peso. Dolore ai piedi,al ginocchio di destra,al collo. Prendo una storta e cado sul ginocchio sinistro,tie' cosi adesso ho due dolori in piu'!
Vedo il mare, mi chiamano Paolo e Yann gia' arrivati e mi dicono di tenere duro che ormai ci sono,anche l’Enrico rimasto a casa mi telefona ed è un po' impressionato dalla mia voce... perchè non ha visto la faccia! Al mio confronto un Troll assomiglia ad una Velina di Striscia!!!
All'altezza del Golf corro dormendo,ogni tanto apro un occhio per vedere di non cadere fuori strada.
Ormai è fatta,pero' quanto è lunga sta discesa fino al mare??? Ho i piedi rotti,prendo storte ad ogni sasso... passeggiata a mare... una ragazza col cane mi dice "Bravo' mancano 200 metri" vedo l'Arrivo... mi rimetto a correre.. bè correre è una parola grossa... zompetto... c'è Paolo al traguardo, mi filma col cellulare... E' FATTA!
Tutti gentili, mi danno da mangiare e soprattutto una birra.. torno a casa a Sanremo. Un pensiero mi folgora: e se l'ascensore è rotto! 6 piani a piedi non li faccio!
Alla sera prendo l'attestato che avevo buttato dentro lo zaino. Lo leggo piano piano e mi scendono le lacrime,mia figlia chiede se sto scherzando, le dico che no, sono lacrime vere.
Chissa' il prossimo anno che tempo faro....

giarevel ha detto...

Bellissimo, mozzafiato, come un noir di Pasilinna o i racconti della resistenza alla Fenoglio. Cavolo Yann, se fare i trail fa scrivere cose così belle mi iscrivo subito al primo che trovo!
Complimenti, per il post ma soprattutto per la gara.
Grandi anche Picone, il "Rifinitore" e Lupi!
g

info ha detto...

Grazie Yann, l'emozioni che ho provato sono state uiche , nn esistono "viaggi" così..Anche se sono gare da pazzi, hai limiti della sicurezza, il prossimo anno si rifà.......tutte le altre sono da fighetti.
Grande Franco, hai dato una prova veramente incredibile, quando c'è la testa.....
Grazie anche ai cinghialli Paolo , Claudio, veramente vedervi a Sospel è stato bellissimo
Giacomo il prossimo anno anche te:)