mercoledì 30 giugno 2010

1 olimpico e 1/2‏

A due settimane dalla scoperta del pianeta extrasolare più simile alla Terra da parte degli astronomi dell'ESO, gli scienziati della NASA rispondono ai colleghi europei con l'identificazione del pianeta extrasolare "più" strano. HD 149026b, questo è il nome del pianeta, "è piccolo, molto denso, e ora sappiamo che è anche molto caldo.
Potrebbe iniziare così l'avventura conclusasi da 5 cinghiali tra cui un veterano il 27/06/2010.
Manosque uscita A51 oppure sotto consiglio di Claudio per un bel giro panoramico conviene uscire a Saint Maximin e poi seguire le indicazioni per Rian e continuare per Manosque percorrendo una lunga strada a doppia corsia che divide le ampie distese di grano bagnate da enormi irrigatori meccanici con un raggio d'azione di 400mt.Oltre al paesaggio tanto diverso dal nostro un'altra cosa che colpisce appena addentrati in questo territorio e il gran caldo. Il forte Sole e il giallo del grano danno la sensazione di essere stati buttati dentro un'immensa palla di fuoco,inutile cercare refrigerio qui non esiste ombra e dai rubinetti esce solo acqua calda.Ogni tanto il cielo concede un pò di tregua con qualche nuvoletta secca ma la piogerella non fa in tempo a toccare terra che già evapora come le idee confuse di chi come noi non si ricorda più che cosa e venuta a fare a Manosque.
Il paesino e carino se girato una volta sola alla seconda volta incomicia a stare sulle palle in compenso hanno un bel parcheggio sotteraneo molto fresco ed economico.
La carne e ottima e sanno arrostire molto bene anche le patate ma occhio a prendere la pasta perchè vi ritroverete come me a dare spiegazioni sul perchè non è di vostro gradimento uno spaghetto alla bolognese condito col Ciappi.
Il 27/06 e il giorno in cui cade la riccorenza del gemellaggio tra Manosque e Voghera. Nelle piccole piazze del paese piccoli palchi accolgono musicisti francesi che si sforzano ad attirare l'attenzione dei turisti di passaggio con brani di cantautori Italiani es: Ramazzotti con "Più bella cosa non ce" uno strazio.
Parlando di triathlon queste sono le strade dei cronomen e pure dei ciuccia ruote, la partenza rispetto a 2 anni fa l'hanno spostata alle 9.00 del mattino per evitare di soccorrere gente collassata sotto al sole.L'organizazione tipica francese lascia sempre senza parole tutto al max della sicurezza. Una volta usciti dall'acqua incomicia il bello ben 53km di vallonato a salire si passa da una strada trafficata all'entroterra locale tra il verde degl'alberi e il solito giallo del grano su e giù con curve e controcurve a velocità sostenute.La natura che si presenta davanti e da mozzafiato e pure il caldo te lo mozza, al 30esimo km un lungo rettilineo taglia a metà i campi di grano e quelli di lavanda n mezzo ai campi i Giapponesi armati delle loro macchine fotografiche scattano foto a ripetizione forse ignari del pericolo che corrono il loro piedi sandalati "le biscie".
Una volta arrivati in zona cambio allestita nella pineta vicina al lago le forze vengono a mancare per affrontare un cross lungo 10km che si attorciglia tra gl'alberi e si distende per poco sulla riva del lago, 2 giri interminabili per chi non ha più forze da spendere. I 5 cinghiali tagliano tutti il traguardo, ottima prestazione di Claudio e ottima quella di Stefania che al suo secondo lungo vanta la prensenza a 2 degl'olimpici più duri.In ordine Claudio, Alessio,Andreone,Ivan,Stefania per i 3 di mezzo tanta fatica per conquistare il fondo della classifica ma orgogliosi di aver tagliato il traguardo.
















Edvard Munch, L'urlo, 1885

L'urlo e' il piu' celebre quadro di Munch ed, in assoluto, uno dei piu' famosi dell'espressionismo nordico. In esso e' condensato tutto il rapporto angoscioso che l'atleta Ivan avverte nei confronti del triathlon di Manosque.







giovedì 17 giugno 2010


Buongiorno Mme Catherine, noi non ci conosciamo, ci siamo incontrati una sola volta nel corso delle nostre vite e, anche se per me è già abbastanza, sarebbe troppo pretendere che lei si ricordi di me. Del resto non mi ha visto che per pochi secondi sarebbe impensabile che in quel brevissimo lasso di tempo mi avesse notato e tra noi due ci fosse stato un qualche tipo di scambio. Non potrei nemmeno pretenderlo, perchè se tutto fosse andato come doveva andare, noi non ci saremmo mai incontrati e non avremmo avuto nessun tipo di relazione, tantomeno il piacere di conoscerci. In tal caso, non credo che qualcuno di noi due se ne sarebbe mai lamentato: sono cose queste che ai giorni nostri avvengono quotidianamente. In ogni istante della nostra giornata, nelle nostre città, ovunque, ci sono auto, pedoni, biciclette che si incrociano un attimo e poi proseguono per la loro strada nel più completo oblio.

Sono convinto che ciò sarebbe accaduto anche nel nostro caso quella domenica mattina un po' fredda di inizio primavera (mi dicono, visto che, purtroppo, lo shock ha cancellato in me qualsiasi ricordo dell'incidente) e certamente, lei non me ne avrebbe voluto se avessi continuato a pedalare tranquillamente sulla mia bicicletta senza accorgermi dell'arrivo della sua auto in sorpasso sulla corsia opposta. E' così che funziona. Tutto questo incontrarsi eppur ignorarsi fa parte delle regole che noi esseri umani destinati a vivere in società ci siamo dati per continuare a sopravvivere. Sarebbe assurdo, quasi disumano, infatti, ricordarsi ogni giorno, ad esempio, di tutti coloro che abbiamo incrociato per la strada andando al lavoro: la cosa forse ci occuperebbe a tal puno da non lasciare spazio ad altro per tutto il resto della giornata. Contro questa evenienza abbiamo infatti stilato un librone di norme che volenti o nolenti dobbiamo rispettare: il codice della strada.

A entrambi credo comunque resterà memoria di quel che è accaduto. A lei, come minimo, per esperienza e consapevolezza di utente della strada. A me per la sofferenza e il disagio di tutto ciò che ho passato. Il fatto che ora le stia scrivendo, non significa naturalmente che io stia meglio, nè che lei possa sentirsi esentata di alcuna delle sue responsabilità. Scrivere lo facevo prima e continuo a farlo tuttora, non ne posso fare a meno. Anzi. dopo questa esperienza non si meraviglierà che ritorni a scrivere con frequenza ancora maggiore. Inoltre gli amici mi suggeriscono di farlo e i medici lo consigliano perchè aiuterebbe a superare lo stress dell'incidente. Pur non credendo io al valore terapeutico della scrittura, mi sono accorto che il corpo e la mente hanno tempi differenti per riparare i propri danni: l'uno procede spedito, piatto, deciso, pilotato da non so che verso il ripristino della situazione iniziale di buona salute; l'altra invece è soggetta a continui sbalzi, umori e venti inattesi che la colgono nel cercare di spiegare l'accaduto. Proprio ad uno di questi, impetuoso, contrario, spietato, ho dovuto sottrarmi per cercare di spiegarmi e spiegarle che cosa sia stato per me l'essere investito e poi lasciato agonizzante sull'asfalto, a causa della sua fuga.
Il fatto che le stia scrivendo, non significa nemmeno che io l'abbia perdonata per ciò che è successo. Sono dell'idea, forse antiquata, forse ambiziosa, che il perdono sia qualcosa che vada guadagnato e per quanto mi riguarda, ciò che lei ha fatto finora non è abbastanza per ottenerne uno nemmeno parziale: constuirsi alla polizia solo dopo quattro giorni dall'avermi investito e abbandonato per strada ha giovato certamente più a lei, alla sua coscienza e alla sua fedina penale che non a me e alla mia stima del genere umano. Con questo non vorrei responsabinizzarla: lei può aver avuto i suoi motivi per fuggire, ma io ho avuto i miei buoni motivi per sopravvivere.

Una parte delle sue azioni di quella mattina, quelle vincolate alla legge, come il commettere un sorpasso azzardato, invadere la mia corsia (tutte cose che ho letto sulle pagine di cronaca dei giornali) e violare o meno il codice della strada, saranno i giudici a decidere se e come punirle o perdonarle, su ciò quindi non voglio discutere. Su altre, invece, come la sua assenza nei giorni successivi al nostro rendez-vous o il poter pensare che tutto si possa risolvere semplicemente con una lettera di scuse (inviata due settimane dopo) e l'intervento di un giudice e un buon avvocato, potrei avanzare obiezioni sul fatto che esse rientrino, oltre che nelle opinioni personali, nella giusta dialettica intrinseca del nostro essere esseri umani. La cosa più grave, infatti, quella che mi ha offeso in qualità di essere vivente prima che in quella di essere umano, è stata proprio il suo lasciarmi, il suo abbandonarmi subito dopo avermi certamente visto sbattere contro il suo cofano, romperle parabrezza e specchietto retrovisore (elementi tratti che dai verbali della Gendarmerie).

Non fu, il mio di arrivarle addosso, il gesto deliberato di un folle, compiuto volutamente ai suoi danni, non lo fu perchè, oltre a non avere alcuna motivazione contro di lei, sono stato proprio io ad uscirne peggio, demolito nel fisico (trauma cranico, costole, sterno ed entrambe le scapole rotte con perforazione dei polmoni ed emotorace, dicono i primi bollettini medici) e nella mente (uno stato di amnesia che mi impedisce tuttora di ricordare tutto, dalla sera prima dell'incidente a quando mi sono svegliato in ospedale vicino a mia madre che piangeva). Comunque sia stato, sto pagando molto caro questo mio essere stato un don Chisciotte della stada ed aver inconsapevolmente intepretato la sua automobile come un mulino a vento. Ma proprio per queste premesse, la sua fuga così repentina dopo il nostro scontro assume per me un significato particolare, quasi esistenziale, ontologico direi. Il fatto che io stessi rischiando la vita (gradualmente non potei più respirare, i miei polmoni si stavano riempiendo di sangue) e lei mi abbia lasciato lì e si sia subito allontanata, senza nemmeno la considerazione che si deve non dico ad un cane, ma ad accertare egoisticamente i danni per il proprio veicolo, mi ha fatto capire la relatività delle cose, ossia quanto poco valeva la mia vita in quel momento per lei. Capisco, il panico, in quell'istante, come mi scrive nella lettera, bloccava la sua mente e le impediva di decidere come forse qualsiasi altro essere umano avrebbe fatto. Ma di in quel momento, comunque, lei si è trovata di fronte ad una scelta: salvare lei stessa da una possibile accusa (per di più la seconda, visto che ha già un procedimento in corso per l'investimento di un ciclista), oppure salvare me da una possibile e rapida morte. Lei ci ha impiegato pochissimo a decidere, una frazionde di secondo: le è bastato premere sull'acceleratore della sua auto e sgattaiolare via. Io sono rimasto lì, dove mi ha lasciato.

Non so se questo sia dipeso da una sua assoluta fiducia nelle grandi capacità degli operatori del pronto soccorso locale (mi hanno salvato la vita) cui è stato necessario intubarmi per evitare che morissi e nei medici dell'ospedale Saint Roche di Nizza nel quale sono stato poi ricoverato. Non so, forse se la paura di aver paura può generare in questi casi un terrore più cieco del caso anzichè un atto di responsabilità. Certo è che in questo modo, in quell'istante, è come se lei avesse avuto la possibilità non comune di scegliere se un suo simile doveva vivere o morire. E' questo che comporta il prestare soccorso a qualcuno dopo averlo investito. Da ciò che ho raccontato finora penso si deduca chiaramente quale fu la sua scelta. Ed è questo che mi offende. Come essere vivente ho acquisito con la mia nascita, in questo mondo, uguali diritti di vita che tutti gli altri che lo popolano. Il fatto che lei abbia preferito tutelare sè stessa in quell'istante è come se abbia offeso questa mia dichiarazione di esistenza: è questo che è più difficile perdonarle. Prestare soccorso dopo un evento del genere, non è soltanto un rigo del librone di cui le parlavo prima. Sta scritto ben più dentro, ben più a fondo, nel nostro libretto di istruzioni. Qualcuno si è fermato effettivamente quella mattina: ed è stata una bambina. Era per strada con sua madre e non ha esitato a chiedere come stavo, ad accarezzarmi il volto mentre svenivo. Forse da bambini quelle istruzioni le abbiamo scritte dentro: anche in una società naturale, senza stato, come quella di bambini, l'istinto spinge a fare certe cose e quella bimba è stata in grado di fare meglio di lei. Nel momento in cui lei si è allontanata lei ha deciso: ormai non si decide solo a parole, ma sono altresì importanti i nostri gesti, le nostre azioni.

Non dico che una sua decisione di fermarsi avrebbe avuto meno conseguenze su ciò che ho passato dopo: le fratture erano tali che ci sarebbero lo stesso voluti operazioni e mesi d'ospedale; ma la disperazione dei miei genitori, l'angoscia dei miei amici, quel senso di ingiustizia che per giorni è rimasto al mio capezzale, non dico non si sarebbe avvertito, ma forse l'avremmo sentito meno. Come la sua assenza: di tutto ciò che accade, volontario o no, siamo responsabili con le nostre azioni. Scomparire come ha fatto lei, sono sicuro non l'ha aiutata a sentirsi meno in colpa. E nei giorni successivi alla sua costituzione, quando ormai i nostri giochi di responsabilità erano fatti, tutti avrebbero valutato molto positivamente una sua visita, una sua telefonata al mio letto d'ospedale per chiedere scusa. No, si è trattato di scegliere, pure in quello: lei ha ancora preferito fuggire.

Ora, ormai, è troppo tardi. Ormai credo che tra noi due è meglio lasciare che si parlino solo giudici e avvocati. Ma anche di questo non sono contento: esistono codici ben più elevati che quello della strada e quello civile: noi (alcuni di noi) siamo in grado di riconoscerli quando si presenta l'occasione. Credo che la sua occasione però sia passata per sempre: se non ci è riuscita allora, spero non ci siano mai più incidenti come il nostro da permetterle di farlo. A me rimane anche la voglia di intrarla: non più però in qualità di vittima. Forse ripeterei la stessa cosa di quella fresca mattina di maggio, a Roquebrune, pedalando tranquillo per strada, scorgendola arrivare correttamente sulla sua corsia: solo allora forse io e lei potremo guardarci davvero negli occhi. Sarebbe la prima volta.

Giacomo Revelli

martedì 8 giugno 2010

BUON GIORNO, BEAULIEAU

Ci sono gare che si somigliano e ci sono gare che fanno di tutto per somigliare ad altre. Beaulieau no. E’ unica, somiglia soltanto a se stessa. Inutile chiedersi: “Ma con tutte le strade che ci sono che senso ha andare per tre volte dal bord de mer alla Moyenne Corniche per poi tornare sempre qui?”. E’ diventata una specie di totem, con il quale i triatleti prima o poi devono confrontarsi. La soddisfazione di nuotare alle prime ore del giorno nella baia perfetta, per poi prendere “l’ascensore” verso Eze, farsi un giro e vedere che tempo fa (qui non sarebbe attendibile una stazione meteorologica) nel corso degli anni ci abbiamo trovato di tutto, nonostante la gara si svolga sempre nello stesso periodo: dal caldo torrido alla grandine, dal diluvio al vento, persino la nebbia. Il tempo di scendere, cercare gli sguardi delle persone che sono venute a vederci e poi via si riparte, ma anziché premere il bottone e affidarsi all’energia elettrica sono le nostre forze che ci portano su. Scesi di nuovo si posa la bici, nel frattempo le gambe sono lievitate come una torta ben riuscita e inizia la terza ascesa, la più dura, ma la più particolare. E sì perché nel triathlon che cerca di diventare sempre più uguale, con percorsi podistici brevi da ripetere svariate volte, qui si compie ancora l’antico rito della scomparsa. La gente che attende si chiede: ma che fine avranno fatto, come starà andando? E’ il fascino del giro unico, che può trasformarsi in sorprendente o deludente secondo i casi. Una specie di triathlon nel triathlon: salita discesa e pianura, fortunatamente alla fine non si cambia più c’è l’arrivo. Facce stanche ma felici e poi a pranzare tutti insieme dai funamboli del circuito mondiale, fino agli ultimi amatori arrivati. Siamo tutti andati bene, e un applauso speciale va alla Doc Stefania un debutto olimpico davvero onorato. Contenti, festeggiamo il presidente che dopo un paio di stagioni difficili torna ai vertici della sua categoria. Un pensiero corre al nostro grande atleta e scriba ufficiale. Ci manca, ma tornerà. Ci salutiamo e l’ultimo sguardo va alle sedie allineate nel parco bici, ormai vuote, arrivederci. Il sole scalda davvero e nel frattempo a Pietra Ligure sta per partire la prima batteria(….????). Un altro mondo.

CLAUDIO

martedì 1 giugno 2010