lunedì 6 luglio 2009

Due cinghiali tra i lupi…

Da alcune settimane cercavo, senza successo, di convincere alcuni amici a correre insieme a me l’Irontrail La Via dei Lupi. Mi ero ormai rassegnato quando, sorpresa! Due giorni prima della gara mi arriva una mail da Matteo, il “cinghialino”, come si è lui stesso definito. È iscritto e mi chiede consigli per la gara. Vorrebbe inoltre correrla con me, essendo il suo primo trail non sa bene cosa lo aspetta e come gestire le energie in una corsa così lunga. Non ci conosciamo molto, di lui ho in mente solo gli occhi vivi, il sorriso aperto e una passione per le gare del villaggio tipo Marcia delle Palme o Andandu. Quanto basta!
Ci incontriamo la sera prima della gara a Limone, ritiro pettorale e pacco gara, una birretta come aperitivo e poi una scofanata di penne panna-pesto-pomodoro nel tendone della pro loco insieme ad uno sparuto numero di atleti, silenziosi e assorti davanti al piatto e a un bicchiere di vino. Matteo avrà pensato: “Ma dove sono finito? Più che un gruppo di iron trailer sembra il club della petanque!” In effetti l’età media è alta e lui è il più giovane, ma quei vecchietti, io lo so, sono incrociati con capre di montagna.
Alle 21h00, per rimanere in sintonia con la serata, gli do la buona notte.
L’indomani, sveglia alle 6h00, seduta meditativa e preparazione meticolosa dello zaino. Con Matteo ci troviamo al bar per la colazione. In piazza ci sono già i vecchietti della sera prima - che sembrano però usciti dal film Cocoon – pronti, saltellano a destra e a manca, fanno allunghi e stretching.
Matteo freme, sento che ha voglia di correre. L’organizzatore ci ragguaglia sul percorso e… senza tante musse, Via!
Dalla piazzetta di Limone ci dirigiamo verso Sud, sull’antica via Romana per due km di falso piano in salita. Una secca svolta a sinistra e si comincia subito a salire, su per un ripido sentiero in mezzo ai boschi. La salita è impegnativa e senza tregua. Matteo ha un buon passo e lo faccio subito stare davanti, il suo ritmo è costante e si vede che è ben allenato (Valmer style… passetti rapidi, super agile). Confrontiamo il cardio e la frequenza è la stessa, oltre i 160.
Sbuchiamo all’arrivo della seggiovia del Sole e ammiriamo le piste da sci che ora sono alpeggi stupendi. Tutto intorno a noi è verde, costellato da viole e cespugli con fiori lilla. Passiamo accanto ad un costone dove c’è ancora un mucchio di neve che sciogliendosi ha dato vita ad una pozza d’acqua limpidissima. Immagino di sdraiarmi sul prato e perdermi nelle nuvole che scorrono veloci, ma dobbiamo arrivare ancora più su.
Con Matteo nasce una sintonia profonda, anche lui contempla ciò che la natura ci sta regalando e i suoi occhi sono pieni di stupore. Al tempo stesso siamo concentrati sulla gara, sulle energie da gestire e lo spirito agonistico infiamma la nostra anima.
La salita è infinita, sono 1200 metri di dislivello positivo. Il ritmo è sostenuto e il cuore sempre alto, ci stiamo dando dentro. Mi rendo conto che sarà una gara veloce, 40 km in questo trail possono essere paragonati a un super sprint nel triathlon.
Arriviamo a Baita 2000 col sorriso. È il primo rifornimento e dietro di noi c’è una lunga fila di corridori che salgono, poi alzo lo sguardo verso il colle e indico a Matteo i primi, che, correndo, stanno già scollinando. È veramente impressionante vederli salire.
Pochi minuti di sosta e si riparte. Siamo ben acclimatati all’altitudine e le gambe rispondono. In un attimo siamo sul colletto Campanin, oltre i 2000 mt, i pascoli lasciano progressivamente spazio alle rocce aspre eppure affascinanti. Il paesaggio è lunare e lo sguardo può spaziare, a Nord e a Sud, su due valli immense.
Siamo in cima e finalmente possiamo correre in cresta tra pietraie e nevai ancora candidi davanti ai quali diversi concorrenti rallentano incerti. Matteo non ci pensa un attimo e si lancia come un bimbo, scivolando velocissimo sulla neve e urlando di gioia. Quel sorriso mi restituisce il senso della nostra ascesa.
Continuiamo a correre, ancora un po’ di salita, passiamo Colle Boaria e poi arriviamo al rifugio Morgantini, una splendida casetta dal tetto rosso, incastonata tra le rocce. Siamo al secondo rifornimento, metà percorso in 3h e 15 min. Riempiamo le borracce e poi giù per una lunghissima discesa di quasi 20 km, passando per il Gias dell’Ortica e il Passo del Duca. Qui cominciamo a recuperare diversi avversari. Siamo veloci e il cuore è stabile, entrambi sincronizzati sui 150 battiti.
In discesa il paesaggio cambia molto più rapidamente, le pietraie scompaiono lasciando il posto ai pascoli e subito dopo ad un fitto bosco dentro il quale corriamo su un sentiero morbido e ombreggiato, l’ideale per spingere. Sembra di essere su una pista di atletica in discesa, unico particolare le radici affioranti che un paio di volte tradiscono Matteo. La sua tecnica è a dir poco stupefacente; quando inciampa si lascia cadere, due capriole e ops! Di nuovo in pista. Sembra lo faccia quasi apposta, il ragazzo non smette di giocare…
Un cartello nel bosco ci segnala gli ultimi 10km. Matteo comincia ad allungare in progressione, io provo a stargli dietro, ma entro rapidamente in affanno, non sono ancora i miei ritmi e il mio cuore si impenna mentre le gambe si fanno pesanti. Gli urlo allora di andare e affidarsi alle sue sensazioni, dopo 30km in montagna non può sbagliare l’arrivo. Ci ritroveremo al traguardo, ormai non ha più bisogno del mio sostegno che, tra l’altro, è sempre stato solo psicologico.
Nel frattempo io comincio a stringere i denti. Passiamo ancora come fulmini l’ultimo rifornimento distanziati di poco e nessuno dei due si ferma, tra lo stupore dei volontari e dei concorrenti in sosta. Poi, in pochi minuti, sparisce nel bosco davanti a me.
Negli ultimi km cerco energie ovunque, mi succhio l’ultimo gel e un concorrente che mi raggiunge, probabilmente colpito dal mio sguardo alla San Gennaro, mi offre una bottiglietta con dei sali.
Corro e tengo duro, è l’ultimo km. Sento dei passi avvicinarsi, mi giro e vedo tre lupi che mi danno la caccia, vogliono superarmi. Davanti a me si apre una radura con un ampio prato e in fondo scorgo il gonfiabile dell’arrivo. Non mi avranno! Il mio sprint non mi tradisce e allungo, mentre Matteo mi corre incontro incitandomi.
Lo speaker annuncia il mio arrivo su un sottofondo di musica dance: “Ed ecco il numero 440, Yann Balestra! Grande Yann! 40km in 4h e 52min!”
Oltre il traguardo ritrovo Matteo, felicissimo. Lui ha chiuso in 4h e 40min.
Stiamo bene e siamo arrivati con il sorriso!
Ah, dimenticavo! Il “cinghialino” è un cinghiale con i contro c….
Ci scusiamo per le foto di repertorio ma le fotografe ufficiali si sono rifiutate di prendere parte all'avventura.............

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