mercoledì 30 settembre 2009

C'è un ragazzo che come me ama il sushi e il triathlon

Questo è il post più difficile che mi sia mai capitato di scrivere sul nostro blog. Non so nemmeno come cominciarlo. Visto il luogo di cui sto per parlare, l’Isola d’Elba, e l’illustre ospite che vi fu confinato ormai 200 anni fa, si potrebbe cominciare con qualcosa di aulico, di manzoniano.

Macché, non basta. Anche sempre di numeri 1 parliamo, ma Paolo non è un extraterrestre, è uno di noi, il triathleta della porta accanto.
Queste cose sono fatte della stessa materia dei sogni, carboidrati complessi, ben più di quelle schifezze che ingurgitiamo durante i nostri allenamenti e in gara.
Non è possibile mettere nero su bianco qualcosa che hai sognato in 11 anni di triathlon e che finalmente s’è materializzato una calda domenica di fine estate, su un’isola lontana a forma di pesce, piena di posti con nomi bizzarri, selvatica, profumata, mediterranea: un tuo compagno, un tuo amico che vince una gara è qualcosa che ti scoppia il cuore e cambia un po’ la tua vita sportiva.

Comincio con un ricordo ma che dice già tanto. Risale alla primavera di saranno ormai 5 anni fa. E’ domenica mattina. Siamo in bici nei dintorni di Beaulieu, in uno dei tanti lunghi per preparare la stagione. Siamo tutti del Riviera, il Ponente Triathlon era ancora una cosa lontana, i cinghiali solo della selvaggina da trattoria. Non ricordo benissimo chi c’era, a parte me, Stefano e Claudio, Fabrizio e Marco Marsiglia, forse Marco Pignone e qualche altro.
C’è anche un ragazzo con noi, uno nuovo, che non avevo visto che qualche volta, di sfuggita. Ben messo fisicamente, taciturno ma alla mano, carnagione berbera. Pedala con una dimestichezza straordinaria, sembra che fosse sempre stato in bici. Mah, pensiamo, arriverà dal ciclismo. Glielo chiedo: No, ho fatto windsurf. Ah.

Poco dopo ha occasione di dimostrare la sua abilità ciclistica. Un autobus di linea, quasi vuoto, ci chiude in una curva. Ed eravamo pure in fila indiana. Succede spesso che ti chiudano, ti taglino la strada, ti privino della precedenza quando ce l’hai sacrosanta. Ma finché è un’auto t’incazzi e freni. Quand’è un autobus devi salvarti la vita. E toccò a questo ragazzo nuovo salvarsi la vita, in una delle sue prime uscite in gruppo.

Ero poco dietro di lui e ho seguito tutto in diretta. Mai vista una cosa del genere. A 40 km all’ora, Paolo aveva da una parte la roccia di Cap Estel e dall’altra una fiancata Iveco che lo stringeva nemmeno fosse Indiana Jones nei trabocchetto dei templi Maia. Poteva accadere di tutto. La roccia tagliente del capo poteva affettarlo come una bresaola. Oppure le ruote dell’autobus potevano risucchiarlo come un gatto spelacchiato.

Niente di tutto questo: Paolo ha sganciato i piedi dalla bici e s’è appoggiato con la schiena alla corriera . Poi, quando la strada non è tornata larga, ha ripreso l’equilibrio e via. Alla faccia del windsurf. Ha usato la bici come se fosse una tavola per surfare sulla paura e forse non se n’è nemmeno reso conto.
Qualcuno di noi gridava al miracolo, altri dovevano smaltire l’incazzatura. Stefano è partito urlando all’inseguimento della corriera: 3 km a 50 all’ora, nemmeno Cancellara alle Olimpiadi. Io e qualcun altro tenevamo dietro. Alla prima fermata ci mettiamo di traverso e l’autista passa davvero un brutto quarto d’ora.

Non so, forse è proprio lì che abbiamo cominciato tutti a essere cinghiali.

Bene, questo ragazzo è lo stesso che ha vinto il 70.3 dell’Elba domenica scorsa.
Ma non è un extraterrestre. Questo ragazzo come me ama i Beathles, il sushi e i Rolling Stones (andiamo meno d’accordo con lo Stoccafisso, ma va bene lo stesso).
Ci alleniamo, viaggiamo, mangiamo, beviamo, corriamo, ci divertiamo spesso insieme. Non si dopa, non se la tira, non te la fa pesare, non ha tatuaggi da star e nemmeno si depila. Paolo Borfiga da Rocchetta Nervina è il primo essere “umano” a cui vedo tagliare il traguardo di una gara di triathlon.

Questo sport non finirà mai di stupirmi.
Altre foto qui: http://picasaweb.google.com/paolo.borfiga/DropBox?authkey=Gv1sRgCJiG3ND87ZXV9AE&feat=directlink

Sanremo News: http://www.sanremonews.it/it/internal.php?news_code=100158

venerdì 4 settembre 2009

Gambe un pò di miele e tanto cuore.........

Fausto Coppi 2009, Mediofondo – 118km

Domenica 30 agosto. Sono le 4h00 del mattino. Il lucernaio sul tetto, sopra di me, è spalancato. Dal letto ascolto il rumore del fiume e la pioggia che cade. “Oggi no! Va bene pedalare per 120 km, anche se non l’ho mai fatto, ma non sotto l’acqua”.
Poi mi giro verso i bambini, addormentati accanto a me. Il loro respiro profondo, regolare e alternato mi effonde un senso di pace e dimentico la pioggia.
Fuori é buio, ma per me é già giorno.
Come sempre più spesso accade la mattina di una prova, mi sveglio lucido, pronto e concentrato. Guardo ancora una volta i bambini addormentati e senza far rumore scivolo via. Chiudendo la porta della camera da letto ho la sensazione piacevole di proteggerli, lasciandoli al calduccio come uccellini nel nido, insieme alla loro mamma. Il papà intanto proverà a conquistarsi una nuova montagna, in bicicletta. Non so come, ma questa immagine mi restituisce un significato profondo.
Colazione con fette di pane e bresaola, yogurt con miele e mirtilli, un caffé lungo.
Nel frattempo fuori spiove.
Questa gara, oltre ad essere una prima per me in bicicletta, sarà anche un test alimentare. Troppe volte durante i trail mi sono ritrovato affamato, senza più energie e con la nausea; impossibilitato a mandar giù quelle schifose barrette energetiche e i gel. Con Cristina abbiamo allora individuato quali elementi sono veramente necessari per sostenere uno sforzo di lunga durata in modo naturale, senza chiedere al corpo di lavorare per la digestione e gratificando i recettori del gusto. Abbiamo allora sciolto un barattolo di pasta di miele e nocciole tritate in una borraccia da tre quarti di litro d’acqua; il risultato é delizioso. Poi abbiamo preparato un mix di frutta secca con aggiunta di rosa canina per l’apporto vitaminico. Infine due semplici banane. L’idea é di bere regolarmente e alternativamente l’acqua pura e il beverone e sgranocchiare il più sovente possibile la frutta secca. Il risultato: un vero successo! Avrei potuto evitare tutti i ristori, che ho in effetti usato solo per scaricare e ricaricare acqua fresca. Mai un momento di crisi metabolica, crampi o fatica eccessiva.
Eppure é stata dura!
Alle 5h30 esco di casa, carico la bici in macchina e da Limone parto alla volta di Cuneo. In un attimo mi ritrovo alla griglia di partenza dove si accalcano centinaia di ciclisti. Percepisco la tensione intorno a me, l’ansia pre gara, ma mi sento estraneo a tutto cio’. Il mio obbiettivo non sarà una certa media di velocità, un preciso tempo totale o una particolare posizione in classifica. Il mio obbiettivo é scoprire cosa puo’ darmi la bici di diverso dalla corsa, andare alla scoperta di nuove sensazioni per portare ancora oltre i miei orizzonti.
Non verro’ deluso.
Si parte e, magicamente, vengo trascinato dalla fiumana silenziosa e dal soffio sottile che producono tutte quelle bici sulla strada. Le strade sono vuote, e lo resteranno per tutta la gara. Il sole comincia a riscaldare le nostre schiene curve mentre la campagna pimontese é svegliata da un plotone compatto e veloce. Percepisco tanta energia intorno a me, come fossimo un gruppo di soldati lanciati all’attacco. Tuttavia il nemico é ancora lontano e scopriro’ troppo tardi il suo nome: il Colle dei Morti-Fauniera, 2511 mt. Tuttavia, come spesso accade quando si parla di morte, il funesto nome rappresenta un attraversamento, un passaggio e non certo la fine. Vero é che a volte, per poter andare oltre un colle, é necessario un grosso sacrificio. La ricompensa sarà poi data dall’amplificazione del nostro orizzonte, nel poter vedere le cose da una nuova e più alta prospettiva. Infine, dal picco, ributtarsi a valle, giù, e ricominciare il gioco.
Nel frattempo 12 km volano e la prima salita comincia. Il plotone si allunga e si spezza, la magia aerodinamica finisce e si comincia a pedalare. Da Caraglio su fino a Montemale, non si scherza ed é solo la prima mezz’ora di gara. Fatico a trovare un ritmo, accellero e rallento di continuo in salita poi mi ritrovo rigido e impacciato in discesa. C’é tempo, questo era solo l’antipasto.
A Pradleves si comincia a sentire odore di montagna e di vera salita. Faccio conoscenza con un cunese affezionato alla gara e ben introdotto nell’organizzazione, tanto da avere un assistente in motorino solo per lui. Chiacchieriamo un po’ e mi spiega che da li’ a poco comincerà il calvario. “Sta pronto a sputare sangue fino al Santuario di Castelmagno”. E la strada non lo smentisce. Decido di stargli accanto e sintonizzarmi sul suo ritmo, il suo obbiettivo coincide con il mio: arrivare in fondo, divertendosi. La salita é veramente dura, soprattutto perché la pendenza non molla mai e rimane costantemente tra il 14 e il 16 di percentuale. A Castelmagno ci arrivo bene, stanco, ma non stravolto. Mi fermo un attimo al ristoro e poi guardo in alto. Il colle é avvolto nella nebbia, siamo a 1500mt e cominciano gli alpeggi, la valle si apre aprendosi in dolci prati che terminano contro un muro di roccia affilata e aguzza, bellissima! Ho voglia di arrivare lassù in cima, sembra vicino, ma sono altri 1000 mt di dislivello in 15 Km. Come formichine vedo i ciclisti davanti a me arrancare su per i tornanti e mi ritrovo poi a fissare il rapporto posteriore a 27 denti, sperando forse che possa apparirne uno ancora un po’ più facile, mentre mi aggrappo al manubrio e mi tiro sù sui pedali. Tuttavia, le sensazioni sono quasi sempre piacevoli, nonostante la sofferenza e solo per pochi attimi il mio cervello dubita di poter arrivare in cima. Devo comunque scacciar via il pensiero che arrivare lassù rappresenta solo metà del percorso. E poi infine, tra l’applauso di qualche bambino, eccomi in cima. Mi fermo un attimo, sudatissimo, e subito mi copro per la discesa, infilando anche un paio di guanti di seta il 30 di agosto!
Subito riparto, le mie gambe sono dure e un po’ doloranti. Ci metto un po’ a prendere il ritmo su tornanti ripidi e sprotetti a valle. Ma ho voglia di divertirmi adesso e dopo un paio di km comincio ad avere sempre più fiducia e lascio andare la bici. Dopo un po’ il problema risulta essere la schiena che mi fa un male cane, non so come mettermi e il freddo, mani e piedi perdono la sensibilità e non percepisco più molto bene i freni. Ogni tanto inchiodo un po’ bruscamente prima di un tornante con la ruota anteriore... la fortuna mi assiste e dopo 28 km di discesa arrivo a Demonte, Festiona e sotto Madonna del Colletto, giusto prima della salita mi fermo, tolgo la giacca e mi dico: “Ora é il momento della verità!” su questa ultima, terribile salita, mi rendero’ conto dello stato delle mie gambe e delle energie a disposizione. “Forza, andiamo!”. Sono 8 km di salita intorno al 15% di dislivello. Mentre comincio a salire mi sorpassa una moto della polizia e dietro a tutta birra un ciclista che sembra dirigersi in volata verso un immaginario traguardo. Mi rendo poi conto che é semplicemente in ritmo gara, é il primo della “lunga” e mi sta doppiando, ma lo fa incitandomi: “Dai forza, é l’ultima salita!”. Motivato dalle sue energie, comincio a spingere sui pedali e trovo un buon ritmo, le gambe rispondono, non sono affatto scoppiato, dopo 85 km e aver salito il Fauniera!. Continuo a spingere felice del mio stato e arrivo in cima col sorriso, poi l’ultima discesa, dove continuo a spingere e dopo stacco i mie compagni di ascensione. Arrivato sul piano pioviggina ma non mollo. I miei compagni mi raggiungono in trenino e mi fanno segno di agganciarmi, é praticamente la prima volta in vita mia che uso seriamente questo sistema e sono galvanizzato dalla velocità che riusciamo a mantenere dopo cosi’ tanti km, tant’è che spesso passo in testa e sono io che tiro il gruppetto. In un attimo ci mangiamo i venti km finali ed entro trionfante in piazza Galimberti a Cuneo.
Sono le 2 del pomeriggio e mi stupisco nel constatare che sono comunque passate 7 ore dalla partenza e ho percorso 118 km ampliando i miei orizzonti.

Yann.