mercoledì 22 aprile 2009

Hyeres we come

Here we come, eccoci qui, come dicono gli anglosassoni. Ghe semu, per noi cinghiali. E al duathlon di Hyeres les Palmiers c'eravamo eccome. Oltre allo scrivente, c'erano Stefano il Maltese, Remo il cinghiale monegasco, e, per il Riviera, Piccone il rifinitore e il grande Roberto Trucco, il colosso di Grasse.

Partiti come tante altre volte verso ponente, passata la barriera di Cannes c'è parso subito chiaro che non stavamo andando a correre la solita mezza o il 10mila di turno: Hyeres we came, ghe semu, appunto, se cumenza, saltata Grasse per pioggia Hyeres è la prima vera esperienza multidisciplinare dell'anno.

E non abbiamo lesinato allenamenti io e il Maltese. Come dice lui, più o meno al 100° km in bici, quando le gambe cominciano a ritirartisi come tapparelle: "Meglio soffrire prima che dopo", cioè, meglio farsi il culo in allenamento, dice il saggio, che in gara. E il culo io e Ste ce lo siamo fatti. Le domeniche prima della gara il divano e le fidanzate le abbiamo viste davvero poco.

Dunque si andava sul sicuro. Io, in particolare, con Hyeres avevo un conto aperto: due anni fa, nel 2007, mi saltò il tappo alla prima salita in bici. Fu una faticaccia arrivare in zona cambio per restituire il numero al giudice. Ritiro. Ma stavolta no, pensavo, ho nelle gambe tutti sti km e decine di cambi, il fondo di una maratona e 3 mezze corse tutte a buon livello, non posso saltare. E invece.

Non è una gara che fa numero Hyeres. Al massimo ci sono 230 persone. Però sono tutti puri: si presentano con i loro missili da cronometro con le ruote così affilate che ci potresti affettare la mortadella, manubri d'altura rubati a qualche spadara e portaborracce da sellino, nemmeno dovessero attraversare il deserto. C'è sempre qualche campionato in ballo, se non sono i pompieri sono i gendarmi, l'Armeé de l'Air, la legione straniera. I forti ci sono ma si nascondono benissimo. Qui non se la tira nessuno: conta solo lo sparo dello starter e lo striscione del traguardo.

Le misure sono 11 - 60 - 10. Ma nei primi 11 a piedi c'è la salita ad una certa rochelle o qualcosa del genere, dunque okkio a strafare. Infatti tutta la settimana prima la passo a convincermi che non devo partire forte, che non conviene imballare il motore nella prima frazione, che è meglio tirare il freno a mano per abbassarlo dopo, che per una volta meglio non fare il solito furgaro.

E devo dire che ha pure funzionato. Lascio scorrere i primi, resto nel secondo gruppetto. Si corre su dei mangia e bevi, tra l'odore dei pitospori e dei barbecue domenicali. La salita è dura, ma lo è ancora di più la discesa. Prima della zona cambio c'è una pianura estenuante di 6 km.
Cambio 26° e mi metto a pedalare tranquillo. Le gambe bruciano ma è normale, infatti punto due che ho davanti e resto a debita distanza per evitare cartons dai giudici. Non fa caldo e neppure freddo, ma c'è un vento tesissimo contro che ti costringe a restare giù per non perdere velocità. Sulla prima salita riesco pure a superare i miei compagni ma senza strafare. In discesa decido di mangiare qualcosina, la gara è ancora lunga: ingoio un pezzo di barretta. Poi c'è di nuovo un lungo falsopiano e al 30° km comincia la seconda salita. Ecco, proprio lì, inspiegabile, comincia la mia crisi. Inizio a perdere metri dai miei compagni. Si voltano, pure loro sembrano stupirsi di abbandonarmi da solo nelle sughere.

Arriva Remo e, vedendomi inchiodato, mi urla qualcosa. Resto un po' con lui ma poi devo mollare perchè la situazione si aggrava poco prima di scollinare. Resto solo in mezzo agli alberi, passa un bel pezzo prima che mi raggiunga qualcun altro. Il ritorno alla zona cambio è duro, passo tra i vigneti di rosè Cote de Provence come un fantasma. Ci sono dei cavalcavia: ogni strappo è una frustata. Comincio a pensare di ritirarmi. Mi dico: adesso mollo la bici in zona cambio e cerco un bell'angolino per vomitare tranquillo. Poi mi viene in mente il mio bel divano che si chiederà perchè non sono lì con lui a guardare l'Amstel alla TV. Penso a smettere, ad appendere la bici al chiodo, a sfanculare il prossimo che mi chiede di fare un triathlon. Mannaggia, perchè non ho scelto il ping pong o la pesca o il curling?

Ma la nostra disciplina è fatta così: quando arrivi ad odiarla tanto più sai di amarla. Non sono due, tre discipline, ce n'è una quarta trasversale a tutte: la resistenza. E quando entro in zona cambio mi rendo conto di che cosa sono venuto a fare qui a Hyeres: non certo a sognare un divano. E decido che stavolta voglio arrivare alla fine.
Infatti parto convinto. I primi tre km recupero almeno 5 posizioni, ci credo, ma dura poco. Al 5° poco prima di un giro di boa, cominciano a farmi male le braccia come se avessi portato un divano Ikea su per Taggia vecchia. Incrocio Remo, mi urla di non mollare, ma dopo una curva c'è un rettilineo che non finisce più. Al rifornimento mi butto due bicchieri d'acqua in faccia. Mi fermo e cammino circa 4 volte. Poi un ragazzo in francese mi dice che manca un km e mi faccio forza. Il traguardo lo taglio in piedi ma non me lo ricordo nemmeno più.

Vado a sedermi per terra nella palestra e, mentre gli altri mangiano pan de piece e bevono coca come alla festa delle medie, io ho tutte le funzioni vitali bloccate. Non mi accorgo nemmeno che arrivano Stefano e poi Paolo. Ste mi regala una caramella gelée all'arancia, ma non riesco a mandarla giù. Dopo un po' mi alzo, cerco una bella aiuoletta, due dita in gola e concimo per bene.

Arriva anche Roberto. Scappiamo prima che estraggano i premi in palio: tra l'altro, c'è un'iscrizione gratis al duathlon powerman di Zofingen.
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4 commenti:

Anonimo ha detto...

Se è vero il detto, che quello che non ti ammazza ti rende più forte domenica a St.Raphael ci fai il culo a strisce.... cmq la giornata storta capita a tutti era meglio in uno super sprint però!

andrebarca78 ha detto...

"Soffrire in allenamento, per soffrire meno in gara.."
E' stato il motto di 4 soffritori per numerose stagioni passate a preparare le gare estive su terribili gozzi da pesca, roba che non può certo definirsi canottaggio;quello è altro sport..
Io di quelle parole, ne feci una filosofia, forse prese fin troppo alla lettera, e in questo interminabile inverno, nei miei lunghi e faticosi allenamenti in solitario,in alcuni momenti di debolezza che lasciava spazio a qualche domanda, questa frase rimbombava spesso nella testa, finendo per stroncare sul nascere qualsiasi dubbio.
Ma come certamente è stato per te, certe fatiche in quelle stagioni, servivano oltre che per allenare il fisico, anche per convincere la testa che ormai si era pronti, prontissimi,tanto da non avere "timori reverenziali" nei confronti della gara, quella di turno..
Capisco perfettameente il tuo stato d'animo, per fortuna durante mia breve esperienza nella multidisciplina non ho mai provato certe sensazioni terribili, ma spesso sui gozzi, la delusione per il mancato risultato sperato,nonostante enormi fatiche in allenamento, è stata forte, forse anche più della sofferenza fisica patita in gara, quella dopo poco passa, mentre i dubbi restano..
Ma tu sei un cinghiale con la "C", nonchè un atleta con la "A" e un maratoneta con i fiocchi e gli attributi..trasformerai i tuoi dubbi e la tua delusione in una gran voglia di rivincita, son convinto!
Un abbraccio e i complimenti a Remo, a Stefano e ai Rivieraschi!!

Anonimo ha detto...

"Soffrire in allenamento, per soffrire meno in gara.." o il più anglosassone "No pain, no gain"
Mi dispiace ma penso sia una metodologia di allenamento obsoleta e superata non che rischiosa. Io preferisco preferisco il motto: Se in allenamento fai una gara in gara fai un allenamento!

giarevel ha detto...

Sono vere entrambe le cose, mi ricordo che uno dei primi consigli di Rambaldi fu di non esagerare in allenamento, perchè comunque è difficile raggiungere i ritmi di gara. Certo è però che se prepari una gara lunga un po' lo devi programmare di soffrire in allenamento. Alla fine per noi non è tanto il risultato che conta ma anche come si arriva a raggiungerlo ;-)