lunedì 22 marzo 2010

Il primo giorno di primavera

Quando attacco un numero alla bici in una giornata grigia, vedo spesso poco più in là, tra la gente lì, in piedi con l'ombrello a guardare, il viso di mio nonno che se la ride e scuote la testa: Ma unt'i vai, mia che tra in po' u ciove, vui zuveni i a barestai a salute. E io a convincerlo, a convincermi, che forse terrà, che magari le previsioni hanno sbagliato, che un po' di fortuna ogni tanto non guasterebbe. E poi so che a mio nonno la salute serviva più che a me: in campagna se hai la febbre e piove non ci puoi andare, io l'indomani mi chiuderò in un ufficio in centro al calduccio e nel mio contratto c'è quella parolina magica: mutua.

Ma i nostri vecchi conoscono la terra meglio di noi, vivono tra muretti, fasce e ritani fino a farne parte, si perdono tra loro. E sanno che lassù, anche se dal mare non sembra, c'è la buriana.
Niente da fare, nonno, anche stavolta parto. Tanto lo so che resterà a ridersela fino alla fine e all'arrivo non avrò nemmeno una parola buona da lui. Così mi ha sempre detto quando uscivo a correre che pioveva, quando tornavo a casa zuppo: U ghè da tià a manega.

Quando partiamo, io, Paolo, Stefano e Guillaume siamo in fondo al gruppo. Ivan è volontariamente l'ultimo: se ci fosse il premio per l'ironia lo darei a lui. Tanto alla Gepin Olmo non si fa la solita tirata a 50 all'ora di tutte le gran fondo. C'è subito salita, una rampa di 6 km piena di tornanti che subito si riempie di magliette colorate che ondeggiano come spighe. La prima sensazione è un gran caldo. Io e Paolo decidiamo per la corta e scaliamo il gruppo. M'ero vestito come un cosacco e adesso tolgo il K-way, apro la maglia, rimbocco le maniche. Paolo pure lui s'apre il giubbino. Giusto il tempo di rendersene conto che ci troviamo bagnati fradici immersi nella nebbia. Come siamo arrivati al Bricco delle Forche non me lo ricordo più.
Ma appena giunti lì, il tempo di chiudere il buco con un gruppo davanti e riposarsi un momento, dalle ruote degli altri cominciano ad arrivare strisce di fango e acqua che ti impastano la faccia, in poco la nostra bella divisa bianca e blu diventa un pigiamino di argilla del peso di qualche chilo. Non tornerà mai più bianca come prima, mi fa Paolo. E' probabile, ma tanto vale proseguire, del resto siamo cinghiali, e come tali arrivaremo al traguardo.

Il secondo strappo per Giovo è più duro e qualcuno del gruppo cede. Io e Paolo restiamo insieme, un po' davanti lui, un po' davanti io. Troviamo uno che ci sembra Stefano, stessa pedalata, stessa testardaggine sugli strappetti. Ci affezioniamo subito ma lui no, ad un certo punto se ne va da solo e raggiungerlo brucia le gambe. E dietro, chissà, sia io che Paolo abbiamo paura del fantasma di Guillaume: non si sa mai che può combinare, più volte mi ha stupito e continuerà a stupirmi. E
se arrivasse? E se mi si incollasse alla ruota come all'ultimo duathlon o alla maratona per farmi la volata alla fine?
Quando entriamo nel Parco dell'Adelasia comincia a vedersi la neve. Ecco, in quel punto, in mezzo ad un falso piano tra gli abeti, con l'asfalto consumato dagli spazzaneve, mi torna in mente mio nonno: Belinùn. A te l'axevu ditu. Le lacrime scorrono. Forse, ora, tutti in gruppo piangiamo qualcuno. Tanto, zuppi come siamo, non se ne accorgerà nessuno.
Troviamo diversi ciclisti fermi a cambiare la camera d'aria. Penso: non vorrei fermarmi ora nemmeno per tutto l'oro del mondo. Speriamo di non bucare. Sono completamente bagnato e nemmeno a metà gara. Conviene finire che aspettare la scopa del sistema. C'è la nebbia. In discesa mi accorgo che i freni non funzionano come dovrebbero: le pastiglie si sono assottigliate come pan carrè. Sbaglio clamorosamente una curva, un veneto in gruppo mi dice di piegare di più la bici. Io preferisco tenere d'occhio il guardrail che si avvicina.
Ritroviamo il nostro gruppo e pedaliamo spediti in Val Bormida. Attraversiamo una strada tra ciminiere e depositi di carbone, una puzza che ti si incolla addosso, ma qui c'è un po' di pianura e si può mangiare. Lo fanno tutti, è un picnic, si rinuncia un attimo a tirare e si tirano fuori barrette e quant'altro. Le gambe fanno un po' male, non puoi comunque fermarle, i crampi
sono in agguato. Tra poco poi si ricomincerà a salire ed è meglio non esagerare. Ed ecco che proprio ora, mentre addento la barretta, sento la ruota davanti svenire, un mancamento progressivo, di quelli a cui prima non credi, non è possibile, proprio adesso, proprio qui, in gara, saremo attorno alla 40esima posizione, in un gruppo affiatato di gente che tira e non esagera. Niente da fare. Ho bucato. Paolo se ne accorge e si ferma pure lui. Potrebbe andare, in salita ha una marcia in più e da quella posizione potrebbe togliersi delle soddisfazioni sulle due ultime salite. Invece si ferma e mi aiuta. Piove.

Mentre cambiamo la ruota arriva un signore e ci porge l'ombrello. Grazie, lei è molto gentile, gli dico. Intanto passano orde di ciclisti, i nostri orizzonti di gloria si allontanano.
Forse c'è anche mia figlia in gara.
Davvero?, smonto il copertoncino.
Ma, sì, non è ancora passata. Paolo apre la bomboletta d'aria compressa per gonfiarmi la ruota. La rarefazione del gas gli incolla le dita dal freddo. In quel momento, passa un gruppo enorme.
Ciao Pà!, una voce femmilile urla per un secondo. E' la figlia del nostro samaritano.
Riusciamo a raggiungerli, sono incavolato nero, poi capisco che è meglio conservare le energie per le ultime salite. La pioggia non molla. Restiamo in gruppo, c'è pure quella ragazza, ci riconosce e la ringraziamo suo padre tramite lei. E' un osso duro, quando la velocità scende si mette lei davanti a tirare. Chiamiamole pari opportunità, ma ci sta dando una gran lezione.
Risaliamo e capiamo che è adesso, in questo preciso istante che si fa la gara. Le gambe cominciano a essere qualcosa a sè, più collegate alla bicicletta che al tuo corpo. Non le comandi più, è già tanto se riesci a spostare la levetta del cambio. I freni, ormai fanno le carezze ai cerchi.
Quando arriviamo in cima, zuppi come spugne, ci tocca a scendere. Paolo mi paventa l'idea di andare direttamente a Celle senza passare dal traguardo, tanto il nostro allenamento l'abbiamo fatto. E' un attimo, capisco che è stanco e lo striglio un po': Nemmeno per sogno, ci aspetta una discesa e un'ultima salita di nemmeno 2 km. Sono ancora incavolato per la foratura, dopo tutta questa fatica ritirarsi non avrebbe senso. Lui si mette davanti e disegna le curve.Dopo poco capisco che cosa voleva dirmi. Mi accorgo che non riesco più a tenere le sue ruote. Che allargo le traiettorie. Che ho una paura terribile di incrociare una macchina nell'altro senso. Più lo vedo allontanarsi più chiedo alle mie gambe di raggiungerlo ma loro non mi rispondono. Pedalano, sì, ma sembra che muovano aria. Comincio ad avere davanti agli occhi un muro grigio. E' come se indossassi un berretto con la visiera, riesco a vedere solo davanti per qualche metro. Piano piano ogni senso viene meno. Il manubrio lo sento come un bastone; in bocca ho soltanto denti, dalle orecchie non arriva più nulla. Non mi sono mai sentito così. Non soffro nemmeno, qualcosa nel mio corpo stava conservando una fiammella accesa contro quell'acqua, quel vento, quel freddo. Alla fine della discesa Paolo se ne accorge e mi scorta. Mi dice che la mia faccia da sola vale il Premio San Gennaro a inizio stagione. La sua battuta e i primi tornanti della salita mi rianimano. Ma io sono rimasto indietro con la testa: vedo scritto 500, poi 400, poi 200, ma per me non è il traguardo, doveva esserci ancora una discesa e una salita prima. Solo all'ultimo vedo scritto "Arrivo" e mi sveglio. Distinguo i bip dei nostri chip, mi si scolpiscono nella mente. Qualcuno è arrivato prima di noi. Altri arriveranno dopo. Saremo tutti qui, tra poco.
C'è mio nonno, con l'ombrello. Ride, mi guarda. Mi manchi, gli dico, vieni più spesso a seguirmi alle gare. Non solo quando piove.

3 commenti:

yann ha detto...

leggere i racconti di Giacomo é come lasciarsi portare da un lungo sogno. il risveglio é un po' duro se ti ritrovi di fronte allo schermo del pc con i colleghi che sbirciano i tuoi occhi rossi e il viso emozionato.

giarevel ha detto...

Grazie Yann, ma lo sai anche tu, certe emozioni devono per forza essere condivise ;-)

Anonimo ha detto...

Oltre ad essere in formissima il ragazzo è anche molto ispirato, aspettiamoci una bella stagione sul blog e non solo......