lunedì 27 aprile 2009

Saint Raphael: i titani della porta accanto



Se qualcuno avesse ancora dubbi sulle condizioni meteo con cui disputare una gara di triathlon, legga quanto segue per chiarirsi bene le idee.

Anche chi organizza gare solo per profitto e non per passione, e chi, incalzato dalle assicurazioni, preferisce non rischiare perchè non si fida degli atleti, o chi studia da manager e deve prendere
decisioni basate sul puro agonismo sportivo, potrà darci un'occhiata. Dopo la XX Edition du Triathlon de Saint-Raphael i manuali della multidisciplina sono da riscrivere.

Per tutta la settimana meteo-france è stato implacabile: segnava l'arrivo di una grossa depressione Atlantica proprio per domenica. Non lunedì, venerdì o sabato (così almeno potevi abituarti all'idea e alla temperatura o rinunciare del tutto): domenica mattina presto su tutta l'Europa centro-meridionale sarebbe arrivata l'acqua. E l'acqua è arrivata eccome. Solo che il giorno prima in Liguria c'erano 24 gradi e si poteva andare al mare, qualcuno ha fatto pure qualche bracciata per saggiare l'acqua.
Quest'anno di gare bagnate ce ne sono state fin troppe. Le nubi s'addensano puntualmente il giovedì e se ne vanno la domenica notte, manco a farlo apposta.

Devono aver calcolato anche questo quelli del Triathlon St. Raphael. Del resto se organizzi una gara da 20 anni, con almeno 700 iscritti tra Courte Distance (olimpico) e sprint, non puoi trascurare un dettaglio così fondamentale come il tempo e i rischi che comporta. Infatti, ai 4 cinghiali (Borfiga, Lasandra, Revelli, Vaglio) che, sveglia alle 5, hanno puntato le zanne verso la Cornice d'Or, è stato chiaro fin da subito che la gara sarebbe partita. Anche se, arrivati nella bellissima plage Agay, il vento frustava le palme e l'asfalto era viscido. Anche se il mare, mosso pure nella baia, è nero come una tegola d'ardesia. Anche se le condizioni, come raccontano oggi le cronache locali erano veramente "titaniche".

I partenti si dimezzano. Le firme sul tabellone sono una su tre. La zona cambio ha paurosi buchi qui e là, ci si sta comodi come un camping di prima classe. Che fare? In questi casi molto sta al singolo. Ognuno ha il suo triathlon, ognuno ha la sua gara ideale che, forse, non farà mai. Però, anche quando le condizioni sono estreme, riesci sempre a trovare la forza di incollare il numero alla bici. A scanso di equivoci, quello sulla pelle te lo tatuano subito, appena ritirato il pacco gara, come a dirti: non ci provvare nemmeno a non partire, noi facciamo sul serio.

Tutto il resto della routine i quattro cinghiali l'hanno fatto inconsapevoli, come un gesto riflesso: monta la bici, monta il numero, metti il chip. Trasferitisi in zona cambio, con tutto il necessario accuratamente chiuso in sacchettoni della Despar o del Conad per proteggerlo dall'umidità, mettono la muta come un cappotto e attendono il briefing. Alimentano infatti ancora una piccola, minuscola speranza che non si parta, che la gara venga convertita in uno sguazzathlon come Beaulieu 2008. Il freddo morde. Borfiga dichiara di avere due bastoncini al posto dei piedi: "Faccio il nuoto e poi mi ritiro". Ivan pensa alla serranda della sua officina: l'indomani mattina vorrebbe tirarla su, se possibile. Revelli per scaldarsi pensa all'esatto opposto: il sole giaguaro di Manosque. A Vaglio la genetica fa uno strano effetto: i suoi occhi si mandorlano sempre di più, sembra un husky pronto per tirare una slitta.

L'annuncio dell'altoparlante demolisce anche le ultime speranze: Briefing et depart à la plage à 9.30. Il briefing è di una sintesi estrema: muta obbligatoria. In bici, state attenti che la strada è bagnata. Bonne course.
Ci si guarda negli occhi. Ragazzi, questi fanno sul serio. Bisogna trovare un motivo per partire oggi. Non uno qualsiasi, uno buono, come per un fioretto. Da chinghiali non ci mettiamo molto: c'è qualcuno che, se fosse qui, non farebbe tante storie, uno che è abituato a passare tutti i giorni le frontiere. La sua assenza è un'ingiustizia.
Chiediamo ad una giudice il percorso del nuoto. Lei ci abbraccia e, parlando, mette la cartellina della spunta sulla nostra testa come per proteggerci dalla pioggia. Il percorso a nuoto deve averlo disegnato un vecchio lupo di mare perchè si nuota disegnando una strana gassa tra le boe. I pinguini sono già tutti dietro la fettuccia bianca e rossa. Il giudice alza la pistola. Lo sparo resta nelle orecchie giusto il tempo di prendere l'acqua.

Ecco com'è andata:
Revelli: arriva vivo alla prima boa. Solo allora la temperatura dell'acqua ha la meglio su di lui. Tenta di ritirarsi ma un giudice con la canoa lo respinge. Ci riesce poco dopo sfiorando l'ipotermia.

Vaglio: nel frattempo l'husky è tornato uomo e ha le mani viola. Resta sul bagnasciuga con la rabbia di chi vorrebbe azzannare le boe una dopo l'altra, ma si ferma. Seguirà tutta la gara, incitando tutti i concorrenti e soccorrendone uno caduto in una rotonda.

Lasandra: torna in zona cambio. Vedendolo arrivare, un giudice eccessivamente sadico o che forse crede abbia sbagliato percorso, lo respinge verso il mare. Ciò che gli dice Ivan rimane nella storia: "Oh! Porca miseria! Io domani devo aprire l'officina!". Anche Ivan rimane a inzupparsi per aspettare il passaggio dell'unico cinghiale rimasto in corsa: Borfiga.

Borfiga: impresa epica, ormai è un cinghiale anfibio. Non solo conclude benissimo il nuoto, ma s'avventura sui tornanti dell'Esterel guadagnando posizione su posizione e mantenendo poi nella frazione di corsa. Conclude 25°, impiastricciato di fango come se avesse guadato il fiume giallo.

La gara, nonostante qualche caso di ipotermia, fila liscia. Nessuno cade, annega o sbrina. Complimenti agli organizzatori.


Paolo Borfiga nella frazione di corsa

Stefano Vaglio aiuta un triathleta caduto

Il grande Marceau inseguito da un cinghiale (ma con un giro di corsa in meno).


mercoledì 22 aprile 2009

Hyeres we come

Here we come, eccoci qui, come dicono gli anglosassoni. Ghe semu, per noi cinghiali. E al duathlon di Hyeres les Palmiers c'eravamo eccome. Oltre allo scrivente, c'erano Stefano il Maltese, Remo il cinghiale monegasco, e, per il Riviera, Piccone il rifinitore e il grande Roberto Trucco, il colosso di Grasse.

Partiti come tante altre volte verso ponente, passata la barriera di Cannes c'è parso subito chiaro che non stavamo andando a correre la solita mezza o il 10mila di turno: Hyeres we came, ghe semu, appunto, se cumenza, saltata Grasse per pioggia Hyeres è la prima vera esperienza multidisciplinare dell'anno.

E non abbiamo lesinato allenamenti io e il Maltese. Come dice lui, più o meno al 100° km in bici, quando le gambe cominciano a ritirartisi come tapparelle: "Meglio soffrire prima che dopo", cioè, meglio farsi il culo in allenamento, dice il saggio, che in gara. E il culo io e Ste ce lo siamo fatti. Le domeniche prima della gara il divano e le fidanzate le abbiamo viste davvero poco.

Dunque si andava sul sicuro. Io, in particolare, con Hyeres avevo un conto aperto: due anni fa, nel 2007, mi saltò il tappo alla prima salita in bici. Fu una faticaccia arrivare in zona cambio per restituire il numero al giudice. Ritiro. Ma stavolta no, pensavo, ho nelle gambe tutti sti km e decine di cambi, il fondo di una maratona e 3 mezze corse tutte a buon livello, non posso saltare. E invece.

Non è una gara che fa numero Hyeres. Al massimo ci sono 230 persone. Però sono tutti puri: si presentano con i loro missili da cronometro con le ruote così affilate che ci potresti affettare la mortadella, manubri d'altura rubati a qualche spadara e portaborracce da sellino, nemmeno dovessero attraversare il deserto. C'è sempre qualche campionato in ballo, se non sono i pompieri sono i gendarmi, l'Armeé de l'Air, la legione straniera. I forti ci sono ma si nascondono benissimo. Qui non se la tira nessuno: conta solo lo sparo dello starter e lo striscione del traguardo.

Le misure sono 11 - 60 - 10. Ma nei primi 11 a piedi c'è la salita ad una certa rochelle o qualcosa del genere, dunque okkio a strafare. Infatti tutta la settimana prima la passo a convincermi che non devo partire forte, che non conviene imballare il motore nella prima frazione, che è meglio tirare il freno a mano per abbassarlo dopo, che per una volta meglio non fare il solito furgaro.

E devo dire che ha pure funzionato. Lascio scorrere i primi, resto nel secondo gruppetto. Si corre su dei mangia e bevi, tra l'odore dei pitospori e dei barbecue domenicali. La salita è dura, ma lo è ancora di più la discesa. Prima della zona cambio c'è una pianura estenuante di 6 km.
Cambio 26° e mi metto a pedalare tranquillo. Le gambe bruciano ma è normale, infatti punto due che ho davanti e resto a debita distanza per evitare cartons dai giudici. Non fa caldo e neppure freddo, ma c'è un vento tesissimo contro che ti costringe a restare giù per non perdere velocità. Sulla prima salita riesco pure a superare i miei compagni ma senza strafare. In discesa decido di mangiare qualcosina, la gara è ancora lunga: ingoio un pezzo di barretta. Poi c'è di nuovo un lungo falsopiano e al 30° km comincia la seconda salita. Ecco, proprio lì, inspiegabile, comincia la mia crisi. Inizio a perdere metri dai miei compagni. Si voltano, pure loro sembrano stupirsi di abbandonarmi da solo nelle sughere.

Arriva Remo e, vedendomi inchiodato, mi urla qualcosa. Resto un po' con lui ma poi devo mollare perchè la situazione si aggrava poco prima di scollinare. Resto solo in mezzo agli alberi, passa un bel pezzo prima che mi raggiunga qualcun altro. Il ritorno alla zona cambio è duro, passo tra i vigneti di rosè Cote de Provence come un fantasma. Ci sono dei cavalcavia: ogni strappo è una frustata. Comincio a pensare di ritirarmi. Mi dico: adesso mollo la bici in zona cambio e cerco un bell'angolino per vomitare tranquillo. Poi mi viene in mente il mio bel divano che si chiederà perchè non sono lì con lui a guardare l'Amstel alla TV. Penso a smettere, ad appendere la bici al chiodo, a sfanculare il prossimo che mi chiede di fare un triathlon. Mannaggia, perchè non ho scelto il ping pong o la pesca o il curling?

Ma la nostra disciplina è fatta così: quando arrivi ad odiarla tanto più sai di amarla. Non sono due, tre discipline, ce n'è una quarta trasversale a tutte: la resistenza. E quando entro in zona cambio mi rendo conto di che cosa sono venuto a fare qui a Hyeres: non certo a sognare un divano. E decido che stavolta voglio arrivare alla fine.
Infatti parto convinto. I primi tre km recupero almeno 5 posizioni, ci credo, ma dura poco. Al 5° poco prima di un giro di boa, cominciano a farmi male le braccia come se avessi portato un divano Ikea su per Taggia vecchia. Incrocio Remo, mi urla di non mollare, ma dopo una curva c'è un rettilineo che non finisce più. Al rifornimento mi butto due bicchieri d'acqua in faccia. Mi fermo e cammino circa 4 volte. Poi un ragazzo in francese mi dice che manca un km e mi faccio forza. Il traguardo lo taglio in piedi ma non me lo ricordo nemmeno più.

Vado a sedermi per terra nella palestra e, mentre gli altri mangiano pan de piece e bevono coca come alla festa delle medie, io ho tutte le funzioni vitali bloccate. Non mi accorgo nemmeno che arrivano Stefano e poi Paolo. Ste mi regala una caramella gelée all'arancia, ma non riesco a mandarla giù. Dopo un po' mi alzo, cerco una bella aiuoletta, due dita in gola e concimo per bene.

Arriva anche Roberto. Scappiamo prima che estraggano i premi in palio: tra l'altro, c'è un'iscrizione gratis al duathlon powerman di Zofingen.
Risultati qui

mercoledì 1 aprile 2009

Il Colosso di Grasse


Ragazzi, cinghiali si nasce. E Roberto Trucco lo nacque. Questo post è dedicato ad un triathleta di razza, che dopo la prestazione di domenica al duathlon di Grasse ci ha tolto ogni dubbio.

Domenica scorsa s'è corso il tradizionale duathlon di Grasse. Tradizionale perchè è la prima vera gara spaccagambe della stagione. Per i francesi è una vera iniziazione: si presentano in massa sulle colline dei paises grassoises e non certo per comprare profumini. Anche per i cinghiali di solito una bella occasione per affilare le zanne.

Ma questa edizione è stata funestata da un diluvio che le cronache locali non hanno esitato a definire "dantesque".

Ci sono gare che ti prepari per mesi: una limatina qui, una ripetuta là, colpo di pedale in più, colpo di pedale in meno, erano in tanti a sperare di fare bella figura a Grasse. Ma, la pioggia e la temperatura hanno scremato i concorrenti già alla partenza. Dei quasi 300 iscritti, si sono presentati "solo" in 87.

Gli stessi fratelli Dodet che la domenica prima al 10 km di Monaco avevano annunciato battaglia (ma, occhio, l'annuncio era esteso anche al prossimo Triathlon di Andora) hanno disertato il piazzale di Grasse. Domenica scorsa, verso le 13, nella zona cambio di Cours Honoré Cresp a Grasse, che di solito è un groviglio di bicicli di ogni genere, c'erano molti posti vuoti e pochi atleti (tra i quali Shaw e Balaubre) infreddoliti sotto il gazebo ad ascoltare le parole dei giudici indecisi sul da farsi: Ragazzi, la situazione è critica. Per la corsa non c'è problema, ma ve la sentite di andare in bici?
Qualcuno pensa già all'ultimo triathlon di Beaulieu, trasformato un misero "sguazzathlon".

Il nostro Roberto era lì. Lui va, senza sentire nessuno, non ha problemi, con qualsiasi condizione atmosferica. Carica tutto sull'X-trail, bici, scarpe, cinturone endurance e squizzi, (secondo me visto il tempo s'era portato anche la muta). La sua favola è cominciata quando il caso gli ha fatto vincere una qualifica all'IronMan delle Hawaii. Chiunque altro si sarebbe detto lusingato, ma poi avrebbe detto no, non fa per me. Invece Roby Trucco c'è andato e adesso di Ironman ne ha una collezione. Un vero fachiro dell'endurance.

La sua opinione a Grasse ve la potete immaginare. Uguale a quella degli altri 87 colossi: Courir sans vèlo? Jamais!

I giudici deglutiscono e danno il via.

Il percorso del duathlon di Grasse non è esattamente una tavola. C'è un po' di tutto, salita, falsopiano, mangia e bevi e un curvone in discesa che fa fischiare le gomme. Già all'asciutto si fanno due o tre peli ai guardrail e alle fasce di Fragonard. Con tutta quell'acqua, i freni impastati e le gommine dure facilissimo che qualcuno si stenda. I giudici incrociano le dita. Gli organizzatori snoccilano rosari. Niente, non una caduta, non una derapata, solo tanto freddo.

Roberto conclude la sua gara, tranquillo.
Ragazzi, chapeau. Cinghiale ad onorem. Anche se è del Riviera, abbiamo già un candidato al Premio San Gennaro di quest'anno. Alla carriera.